Holy See
This article was added by the user . TheWorldNews is not responsible for the content of the platform.

Messaggio del Santo Padre Francesco per la 109ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato

Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 109aGiornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 24 settembre 2023, sul tema: “Liberi di scegliere se migrare o restare”.

Messaggio del Santo Padre

Liberi di scegliere se migrare o restare

Cari fratelli e sorelle!

I flussi migratori dei nostri giorni sono espressione di un fenomeno complesso e articolato, la cui comprensione esige l’analisi attenta di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse tappe dell’esperienza migratoria, dalla partenza all’arrivo, incluso un eventuale ritorno. Con l’intenzione di contribuire a tale sforzo di lettura della realtà, ho deciso di dedicare il Messaggio per la 109a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato alla libertà che dovrebbe sempre contraddistinguere la scelta di lasciare la propria terra.

“Liberi di partire, liberi di restare”, recitava il titolo di un’iniziativa di solidarietà promossa qualche anno fa dalla Conferenza Episcopale Italiana come risposta concreta alle sfide delle migrazioni contemporanee. E dal mio ascolto costante delle Chiese particolari ho potuto comprovare che la garanzia di tale libertà costituisce una preoccupazione pastorale diffusa e condivisa.

«Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). La fuga della Santa Famiglia in Egitto non è frutto di una scelta libera, come del resto non lo furono molte delle migrazioni che hanno segnato la storia del popolo d’Israele. Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire. Già nel 2003 San Giovanni Paolo II affermava che «costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati, significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria» (Messaggio per la 90a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 3).

«Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti» (Gen 46,6). È a causa di una grave carestia che Giacobbe con tutta la sua famiglia fu costretto a rifugiarsi in Egitto, dove suo figlio Giuseppe aveva assicurato loro la sopravvivenza. Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune.

«Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). L’ideale della prima comunità cristiana pare così distante dalla realtà odierna! Per fare della migrazione una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale. Solo così si potrà offrire ad ognuno la possibilità di vivere dignitosamente e realizzarsi personalmente e come famiglia. È chiaro che il compito principale spetta ai Paesi di origine e ai loro governanti, chiamati ad esercitare la buona politica, trasparente, onesta, lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Essi però devono essere messi in condizione di fare questo, senza trovarsi depredati delle proprie risorse naturali e umane e senza ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi. E lì dove le circostanze permettano di scegliere se migrare o restare, si dovrà comunque garantire che tale scelta sia informata e ponderata, onde evitare che tanti uomini, donne e bambini cadano vittime di rischiose illusioni o di trafficanti senza scrupoli.

«In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà» (Lv 25,13). La celebrazione del giubileo per il popolo d’Israele rappresentava un atto di giustizia collettivo: tutti potevano «tornare nella situazione originaria, con la cancellazione di ogni debito, la restituzione della terra, e la possibilità di godere di nuovo della libertà propria dei membri del popolo di Dio» (Catechesi, 10 febbraio 2016). Mentre ci avviciniamo al Giubileo del 2025, è bene ricordare questo aspetto delle celebrazioni giubilari. È necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza, la cui garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali. Infatti, poiché le risorse mondiali non sono illimitate, lo sviluppo dei Paesi economicamente più poveri dipende dalla capacità di condivisione che si riesce a generare tra tutti i Paesi. Fino a quando questo diritto non sarà garantito – e si tratta di un cammino lungo – saranno ancora in molti a dover partire per cercare una vita migliore.

«Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Queste parole suonano come monito costante a riconoscere nel migrante non solo un fratello o una sorella in difficoltà, ma Cristo stesso che bussa alla nostra porta. Perciò, mentre lavoriamo perché ogni migrazione possa essere frutto di una scelta libera, siamo chiamati ad avere il massimo rispetto della dignità di ogni migrante; e ciò significa accompagnare e governare nel miglior modo possibile i flussi, costruendo ponti e non muri, ampliando i canali per una migrazione sicura e regolare. Ovunque decidiamo di costruire il nostro futuro, nel Paese dove siamo nati o altrove, l’importante è che lì ci sia sempre una comunità pronta ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti, senza distinzione e senza lasciare fuori nessuno.

Il percorso sinodale che, come Chiesa, abbiamo intrapreso, ci porta a vedere nelle persone più vulnerabili – e tra questi molti migranti e rifugiati – dei compagni di viaggio speciali, da amare e curare come fratelli e sorelle. Solo camminando insieme potremo andare lontano e raggiungere la meta comune del nostro viaggio.

Roma, San Giovanni in Laterano, 11 maggio 2023

FRANCESCO

* * *

Preghiera

Dio, Padre onnipotente,

donaci la grazia di impegnarci operosamente

a favore della giustizia, della solidarietà e della pace,

affinché a tutti i tuoi figli sia assicurata

la libertà di scegliere se migrare o restare.

Donaci il coraggio di denunciare

tutti gli orrori del nostro mondo,

di lottare contro ogni ingiustizia

che deturpa la bellezza delle tue creature

e l’armonia della nostra casa comune.

Sostienici con la forza del tuo Spirito,

perché possiamo manifestare la tua tenerezza

ad ogni migrante che poni sul nostro cammino

e diffondere nei cuori e in ogni ambiente

la cultura dell’incontro e della cura.

[00779-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Libre de choisir d’émigrer ou de rester

Chers frères et sœurs !

Les flux migratoires actuels sont l'expression d'un phénomène complexe et articulé, dont la compréhension requiert une analyse attentive de tous les aspects qui caractérisent les différentes étapes de l'expérience migratoire, du départ à l'arrivée, en passant par un éventuel retour. Dans l'intention de contribuer à cet effort de lecture de la réalité, j'ai décidé de consacrer le message de la 109e Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié à la liberté qui devrait toujours caractériser le choix de quitter sa propre terre.

«Libre de partir, libre de rester» était le titre d'une initiative de solidarité promue il y a quelques années par la Conférence épiscopale italienne comme une réponse concrète aux défis des migrations contemporaines. À l'écoute constante des Églises particulières, j'ai pu constater que la garantie de cette liberté est une préoccupation pastorale largement répandue et partagée.

«Après leur départ, voici que l'Ange du Seigneur apparaît en songe à Joseph et lui dit: "Lève-toi, prends avec toi l'enfant et sa mère, et fuis en Egypte; et restes-y jusqu'à ce que je te dise. Car Hérode va rechercher l'enfant pour le faire périr.")» (Mt 2, 13). La fuite de la Sainte Famille en Égypte n'a pas été le résultat d'un choix libre, tout comme de nombreuses migrations qui ont marqué l'histoire du peuple d'Israël. Migrer devrait toujours être un choix libre, mais en fait, dans de nombreux cas, même aujourd'hui, ce n'est pas le cas. Des conflits, des catastrophes naturelles ou, plus simplement, l'impossibilité de mener une vie digne et prospère dans leur pays d'origine contraignent des millions de personnes à partir. En 2003 déjà, saint Jean-Paul II déclarait que "construire les conditions concrètes de la paix, en ce qui concerne les migrants et les réfugiés, signifie s'engager sérieusement à sauvegarder avant tout le droit de ne pas émigrer, c'est-à-dire de vivre en paix et dans la dignité dans sa propre patrie" (Message pour la 90e Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié, n. 3).

«Ils emmenèrent leurs troupeaux et tout ce qu'ils avaient acquis au pays de Canaan et ils vinrent en Egypte, Jacob et tous ses descendants avec lui » (Gn 46, 6). C'est à cause d'une grave famine que Jacob et toute sa famille ont été contraints de fuir en Égypte, où son fils Joseph a assuré leur survie. Les persécutions, les guerres, les phénomènes climatiques et la misère sont parmi les causes les plus visibles des migrations forcées contemporaines. Les migrants fuient la pauvreté, la peur, le désespoir. Pour éliminer ces causes et mettre fin aux migrations forcées, nous avons besoin de l'engagement commun de tous, chacun selon ses responsabilités. Un engagement qui commence par le fait de se demander ce que nous pouvons faire, mais aussi ce que nous devons cesser de faire. Nous devons nous efforcer de mettre fin à la course aux armements, au colonialisme économique, au pillage des ressources des autres, à la dévastation de notre maison commune.

"Tous les croyants étaient réunis et avaient tout en commun ; ils vendaient leurs biens et leurs possessions et les partageaient avec tous, selon les besoins de chacun" (Ac 2, 44-45). L'idéal de la première communauté chrétienne semble si éloigné de la réalité d'aujourd'hui ! Pour faire de la migration un choix réellement libre, nous devons nous efforcer d'assurer à chacun une part équitable du bien commun, le respect des droits fondamentaux et l'accès à un développement humain intégral. C'est le seul moyen d'offrir à chacun la possibilité de vivre dignement et de se réaliser personnellement et en tant que famille. Il est clair que la tâche principale incombe aux pays d'origine et à leurs dirigeants, qui sont appelés à exercer une bonne politique, transparente, honnête, prévoyante et au service de tous, en particulier des plus vulnérables. Mais ils doivent être mis en mesure de le faire, sans être privés de leurs ressources naturelles et humaines et sans ingérence extérieure visant à favoriser les intérêts de quelques-uns. Et quand les circonstances permettent de choisir d'émigrer ou de rester, il faut encore veiller à ce que ce choix soit éclairé et réfléchi, pour éviter que tant d'hommes, de femmes et d'enfants ne soient victimes d'illusions hasardeuses ou de trafiquants sans scrupules.

«En cette année jubilaire vous rentrerez chacun dans votre patrimoine.» (Lv 25, 13). La célébration du jubilé pour le peuple d'Israël représentait un acte de justice collective : chacun pouvait " retourner à sa situation initiale, avec l'annulation de toutes les dettes, la restitution des terres et la possibilité de jouir à nouveau de la liberté propre aux membres du peuple de Dieu " (Catéchèse, 10 février 2016). À l'approche du Jubilé de 2025, il est bon de se rappeler cet aspect des célébrations jubilaires. Un effort conjoint de chaque pays et de la communauté internationale est nécessaire pour garantir à chacun le droit de ne pas émigrer, c'est-à-dire la possibilité de vivre en paix et dans la dignité sur sa propre terre. Il s'agit d'un droit qui n'a pas encore été codifié, mais qui revêt une importance fondamentale, dont la garantie doit être comprise comme une coresponsabilité de tous les États à l'égard d'un bien commun qui dépasse les frontières nationales. En effet, les ressources mondiales n'étant pas illimitées, le développement des pays économiquement les plus pauvres dépend de la capacité de partage qui peut être suscitée entre tous les pays. Tant que ce droit ne sera pas garanti - et le chemin est encore long - beaucoup devront encore partir à la recherche d'une vie meilleure.

«Car j'ai eu faim et vous m'avez donné à manger, j'ai eu soif et vous m'avez donné à boire, j'étais un étranger et vous m'avez accueilli, 36 nu et vous m'avez vêtu, malade et vous m'avez visité, prisonnier et vous êtes venus me voir» (Mt 25, 35-36). Ces paroles nous exhortent à reconnaître dans le migrant non seulement un frère ou une sœur dans le besoin, mais aussi le Christ lui-même qui frappe à notre porte. C'est pourquoi, en œuvrant pour que toute migration soit le fruit d'un choix libre, nous sommes appelés à avoir le plus grand respect pour la dignité de chaque migrant. Cela implique d'accompagner et de gérer les flux de la meilleure façon possible, en construisant des ponts et non des murs, en élargissant les canaux pour une migration sûre et régulière. Où que nous décidions de construire notre avenir, dans le pays où nous sommes nés ou ailleurs, l'important est qu'il y ait toujours une communauté prête à accueillir, à protéger, à promouvoir et à intégrer chacun, sans distinction et sans laisser personne de côté.

Le chemin synodal que nous avons entrepris en tant qu'Église nous conduit à voir dans les personnes les plus vulnérables - et parmi elles de nombreux migrants et réfugiés - des compagnons de voyage particuliers, à aimer et à soigner comme des frères et des sœurs. Ce n'est qu'en marchant ensemble que nous pourrons aller loin et atteindre le but commun de notre voyage.

Rome, Saint-Jean-de-Latran, 11 mai 2023

FRANÇOIS

* * *

Prière

Dieu, Père tout-puissant

donne-nous la grâce de nous engager avec ardeur

en faveur de la justice, de la solidarité et de la paix,

afin que soient assurée à tous tes enfants

la liberté de choisir d'émigrer ou de rester.

Donne-nous le courage de dénoncer

toutes les horreurs de notre monde,

de lutter contre toutes les injustices

qui défigure la beauté de tes créatures

et l'harmonie de notre maison commune.

Soutiens-nous avec la force de ton Esprit,

pour que nous puissions manifester ta tendresse

à chaque migrant que tu places sur notre route

et répandre dans les cœurs et dans tous les milieux

la culture de la rencontre et de la protection.

[00779-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Free to choose whether to migrate or to stay

Dear brothers and sisters!

The migratory flows of our times are the expression of a complex and varied phenomenon that, to be properly understood, requires a careful analysis of every aspect of its different stages, from departure to arrival, including the possibility of return. As a contribution to this effort, I have chosen to devote the Message for the 109th World Day of Migrants and Refugees to the freedom that should always mark the decision to leave one’s native land.

“Free to leave, free to stay” was the title of an initiative of solidarity promoted several years ago by the Italian Episcopal Conference as a concrete response to the challenges posed by contemporary migration movements. From attentive listening to the Particular Churches, I have come to see that ensuring that that freedom is a widely shared pastoral concern.

“An angel of the Lord appeared to Joseph in a dream and said: ‘Get up, take the child and his mother, and flee to Egypt, and remain there until I tell you; for Herod is about to search for the child, to destroy him” (Mt 2:13). The flight of the Holy Family into Egypt was not the result of a free decision, nor were many of the migrations that marked the history of the people of Israel. The decision to migrate should always be free, yet in many cases, even in our day, it is not. Conflicts, natural disasters, or more simply the impossibility of living a dignified and prosperous life in one’s native land is forcing millions of persons to leave. Already in 2003, Saint John Paul II stated that “as regards migrants and refugees, building conditions of peace means in practice being seriously committed to safeguarding first of all the right not to emigrate, that is, the right to live in peace and dignity in one's own country” (Message for the 90th World Day of Migrants and Refugees, 3).

“They took their livestock and the goods that they had acquired in the land of Canaan, and they came into Egypt, Jacob and all his offspring with him” (Gen 46:6). A grave famine forced Jacob and his entire family to seek refuge in Egypt, where his son Joseph ensured their survival. Persecutions, wars, atmospheric phenomena and dire poverty are among the most visible causes of forced migrations today. Migrants flee because of poverty, fear or desperation. Eliminating these causes and thus putting an end to forced migration calls for shared commitment on the part of all, in accordance with the responsibilities of each. This commitment begins with asking what we can do, but also what we need to stop doing. We need to make every effort to halt the arms race, economic colonialism, the plundering of other people’s resources and the devastation of our common home.

“All who believed were together and had all things in common; they would sell their possessions and goods and distribute the proceeds to all, as any had need” (Acts 2:44-45). The ideal of the first Christian community seems so distant from today’s reality! To make migration a choice that is truly free, efforts must be made to ensure to everyone an equal share in the common good, respect for his or her fundamental rights, and access to an integral human development. Only in this way will we be able to offer to each person the possibility of a dignified and fulfilling life, whether individually or within families. Clearly, the principal responsibility falls to the countries of origin and their leaders, who are called to practice a good politics – one that is transparent, honest, farsighted and at the service of all, especially those most vulnerable. At the same time, they must be empowered to do this, without finding themselves robbed of their natural and human resources and without outside interference aimed at serving the interests of a few. Where circumstances make possible a decision either to migrate or to stay, there is a need to ensure that the decision be well informed and carefully considered, in order to avoid great numbers of men, women and children falling victim to perilous illusions or unscrupulous traffickers.

“In this year of jubilee you shall return, every one of you, to your property” (Lev 25:13). For the people of Israel, the celebration of the jubilee year represented an act of collective justice: “everyone was allowed to return to their original situation, with the cancellation of all debts, restoration of the land, and an opportunity once more to enjoy the freedom proper to the members of the People of God” (Catechesis, 10 February 2016). As we approach the Holy Year of 2025, we do well to remember this aspect of the jubilee celebrations. Joint efforts are needed by individual countries and the international community to ensure that all enjoy the right not to be forced to emigrate, in other words, the chance to live in peace and with dignity in one's own country. This right has yet to be codified, but it is one of fundamental importance, and its protection must be seen as a shared responsibility on the part of all States with respect to a common good that transcends national borders. Indeed, since the world’s resources are not unlimited, the development of the economically poorer countries depends on the capacity for sharing that we can manage to generate among all countries. Until this right is guaranteed – and here we are speaking of a long process – many people will still have to emigrate in order to seek a better life.

“For I was hungry and you gave me food, I was thirsty and you gave me something to drink, I was a stranger and you welcomed me, I was naked and you gave me clothing, I was sick and you took care of me, I was in prison and you visited me” (Mt 25:35-36). These words are a constant admonition to see in the migrant not simply a brother or sister in difficulty, but Christ himself, who knocks at our door. Consequently, even as we work to ensure that in every case migration is the fruit of a free decision, we are called to show maximum respect for the dignity of each migrant; this entails accompanying and managing waves of migration as best we can, constructing bridges and not walls, expanding channels for a safe and regular migration. In whatever place we decide to build our future, in the country of our birth or elsewhere, the important thing is that there always be a community ready to welcome, protect, promote and integrate everyone, without distinctions and without excluding anyone.

The synodal path that we have undertaken as a Church leads us to see in those who are most vulnerable – among whom are many migrants and refugees – special companions on our way, to be loved and cared for as brothers and sisters. Only by walking together will we be able to go far and reach the common goal of our journey.

Rome, Saint John Lateran, 11 May 2023

FRANCIS

* * *

Prayer

God, Father Almighty,

grant us the grace to work tirelessly

for justice, solidarity and peace,

so that all your children may enjoy

the freedom to choose whether to migrate or to stay.

Grant us the courage to denounce

all the horrors of our world,

and to combat every injustice

that mars the beauty of your children

and the harmony of our common home.

Sustain us by the power of your Spirit,

so that we can reflect your tender love

to every migrant whom you place in our path,

and to spread in hearts and in every situation

the culture of encounter and of care.

[00779-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Frei in der Entscheidung auszuwandern oder zu bleiben

Liebe Brüder und Schwestern!

Die Migrationsströme unserer Tage sind Ausdruck eines komplexen und vielschichtigen Phänomens, dessen Verständnis eine sorgfältige Analyse aller Aspekte erfordert, die die verschiedenen Phasen einer Migration kennzeichnen, vom Aufbruch bis zur Ankunft, einschließlich einer eventuellen Rückkehr. In der Absicht, zu diesem Bemühen, die Realität zu verstehen, beizutragen, habe ich beschlossen, die Botschaft zum 109. Welttag des Migranten und des Flüchtlings der Freiheit zu widmen, die die Entscheidung, das eigene Land zu verlassen, immer kennzeichnen sollte.

„Frei zu gehen, frei zu bleiben“ lautete der Titel einer Solidaritätsinitiative, die vor einigen Jahren von der italienischen Bischofskonferenz als konkrete Antwort auf die Herausforderungen der heutigen Migration auf den Weg gebracht wurde. Und im beständigen Hören auf die Teilkirchen konnte ich feststellen, dass die Gewährleistung dieser Freiheit ein weit verbreitetes und gemeinsames pastorales Anliegen ist.

»Da erschien dem Josef im Traum ein Engel des Herrn und sagte: Steh auf, nimm das Kind und seine Mutter und flieh nach Ägypten; dort bleibe, bis ich dir etwas anderes auftrage; denn Herodes wird das Kind suchen, um es zu töten« (Mt 2,13). Die Flucht der Heiligen Familie nach Ägypten ist nicht das Ergebnis einer freien Entscheidung, so wie viele der Wanderungen, die die Geschichte des Volkes Israel gekennzeichnet haben, nicht freiwillig waren. Migration sollte immer eine freie Entscheidung sein, aber in vielen Fällen ist sie das auch heute noch nicht. Konflikte, Naturkatastrophen oder ganz einfach die Unmöglichkeit, in der Heimat ein würdiges und gedeihliches Leben zu führen, zwingen Millionen von Menschen zum Weggehen. Bereits 2003 erklärte der heilige Johannes Paul II.: »Im Blick auf die Migranten und Flüchtlinge konkrete Friedensbedingungen zu schaffen, bedeutet vor allem, sich ernsthaft für dasRecht auf Sesshaftigkeiteinzusetzen, also für das Recht, in Frieden und Würde in der eigenen Heimat zu leben« (Botschaft zum 90. Welttag der Migranten und Flüchtlinge, 3).

»Sie nahmen ihr Vieh und ihre Habe, die sie im Land Kanaan erworben hatten, und gelangten nach Ägypten, Jakob und mit ihm alle seine Nachkommen« (Gen 46,6). Eine schwere Hungersnot zwang Jakob und seine ganze Familie, nach Ägypten zu fliehen, wo sein Sohn Josef ihr Überleben gesichert hatte. Verfolgungen, Kriege, Wetterphänomene und Elend gehören zu den offensichtlichsten Ursachen heutiger Zwangsmigration. Migranten fliehen aus Armut, aus Angst, aus Verzweiflung. Um diese Ursachen zu beseitigen und damit der erzwungenen Migration ein Ende zu setzen, brauchen wir das gemeinsame Engagement aller, eines jeden, entsprechend seiner Verantwortung. Ein Engagement, das damit beginnt, dass wir uns fragen, was wir tun können, aber auch, was wir nicht mehr tun dürfen. Wir müssen uns bemühen, das Wettrüsten, den wirtschaftlichen Kolonialismus, den Raub der Ressourcen anderer und die Zerstörung unseres gemeinsamen Hauses zu beenden.

»Alle, die glaubten, waren an demselben Ort und hatten alles gemeinsam. Sie verkauften Hab und Gut und teilten davon allen zu, jedem so viel, wie er nötig hatte« (Apg 2,44-45). Das Ideal der ersten christlichen Gemeinschaft scheint so weit von der heutigen Realität entfernt zu sein! Um die Migration zu einer wirklich freien Entscheidung zu machen, braucht es das Bemühen, allen einen gerechten Anteil am Gemeinwohl, die Achtung der Grundrechte und den Zugang zu einer ganzheitlichen menschlichen Entwicklung zu gewährleisten. Nur so können wir einem jeden die Chance bieten, in Würde zu leben und sich persönlich und als Familie zu verwirklichen. Es ist klar, dass die Hauptaufgabe bei den Herkunftsländern und ihren Regierenden liegt, die aufgerufen sind, eine gute, transparente, ehrliche und weitsichtige Politik im Dienste aller, insbesondere der Schwächsten, zu betreiben. Sie müssen jedoch in die Lage versetzt werden, dies zu tun, ohne dass sie ihrer Natur- und Humanressourcen beraubt werden und ohne Einmischung von außen, welche die Interessen einiger weniger begünstigt. Und dort, wo die Umstände es erlauben zu wählen, ob man auswandert oder bleibt, muss sichergestellt werden, dass diese Entscheidung mit dem nötigen Wissen und wohlüberlegt getroffen wird, um zu verhindern, dass viele Männer, Frauen und Kinder risikoreichen Illusionen oder skrupellosen Menschenhändlern zum Opfer fallen.

»In diesem Jubeljahr soll jeder von euch zu seinem Besitz zurückkehren« (Lev 25,13). Die Feier des Jubeljahres stellte für das Volk Israel einen Akt kollektiver Gerechtigkeit dar: Alle konnten »in die ursprüngliche Situation zurückkehren. Jede Schuld wurde erlassen, Grund und Boden zurückgegeben, man konnte sich wieder der den Gliedern des Volkes Gottes eigenen Freiheit erfreuen« (Katechese, 10. Februar 2016). Da wir uns dem Jubiläumsjahr 2025 nähern, ist es gut, sich an diesen Aspekt der Jubiläumsfeiern zu erinnern. Es bedarf einer gemeinsamen Anstrengung der einzelnen Länder und der internationalen Gemeinschaft, damit allen das Recht garantiert werden kann, nicht auszuwandern zu müssen, d. h. die Möglichkeit, in Frieden und in Würde im eigenen Land zu leben. Dieses Recht ist noch nicht kodifiziert, ist aber von grundlegender Bedeutung, und seine Gewährleistung ist als Bestandteil der Mitverantwortung aller Staaten für ein Gemeinwohl zu begreifen, das über die nationalen Grenzen hinausgeht. Da die Ressourcen der Welt nicht unbegrenzt sind, hängt die Entwicklung der wirtschaftlich ärmeren Länder in der Tat davon ab, ob es gelingt, unter den Völkern die Fähigkeit zum gegenseitigen Teilen zu erwecken. Solange dieses Recht nicht gewährleistet ist – und bis dahin ist es noch ein langer Weg –, werden noch viele auf der Suche nach einem besseren Leben auswandern müssen.

»Denn ich war hungrig und ihr habt mir zu essen gegeben; ich war durstig und ihr habt mir zu trinken gegeben; ich war fremd und ihr habt mich aufgenommen; ich war nackt und ihr habt mir Kleidung gegeben; ich war krank und ihr habt mich besucht; ich war im Gefängnis und ihr seid zu mir gekommen« (Mt 25,35-36). Diese Worte erklingen als eine beständige Mahnung, in dem Migranten nicht nur einen Bruder oder eine Schwester in Not zu erkennen, sondern Christus selbst, der an unsere Tür klopft. Wenn wir uns also dafür einsetzen, dass jede Migration die Frucht einer freien Entscheidung sein kann, sind wir aufgerufen, die Würde jedes Migranten in höchstem Maße zu achten; das bedeutet, die Migrationsbewegungen so gut wie möglich zu begleiten und zu lenken, indem wir Brücken und nicht Mauern bauen und die Wege für eine sichere und reguläre Migration erweitern. Wo auch immer wir uns entscheiden, unsere Zukunft aufzubauen, in unserem Geburtsland oder anderswo, wichtig ist, dass es dort immer eine Gemeinschaft gibt, die bereit ist, alle aufzunehmen, zu schützen, zu fördern und zu integrieren, ohne Unterschied und ohne jemanden außen vor zu lassen.

Der Weg der Synodalität, auf den wir uns als Kirche begeben haben, lässt uns in den verletzlichsten Menschen – und unter ihnen viele Migranten und Flüchtlinge – besondere Weggefährten sehen, die wir als Brüder und Schwestern lieben und für die wir Sorge tragen müssen. Nur wenn wir gemeinsam gehen, werden wir weiter vorankommen und das gemeinsame Ziel unserer Reise erreichen.

Rom, St. Johannes im Lateran, 11. Mai 2023

FRANZISKUS

* * *

Gebet

Gott, allmächtiger Vater,

gib uns die Gnade, uns tatkräftig einzusetzen

für Gerechtigkeit, Solidarität und Frieden,

damit allen deinen Kindern

die Freiheit gewährleistet ist,

sich für die Migration oder das Bleiben zu entscheiden.

Gib uns den Mut,

alle Gräuel in unserer Welt klar zu benennen,

und gegen jede Ungerechtigkeit zu kämpfen,

welche die Schönheit deiner Geschöpfe und

die Harmonie unseres gemeinsamen Hauses verunstaltet.

Stärke uns mit der Kraft deines Geistes,

damit wir gegenüber jedem Migranten,

dem du uns begegnen lässt,

deine Zärtlichkeit an den Tag legen,

und in den Herzen und in jedem Umfeld

die Kultur der Begegnung und der Fürsorge verbreiten.

[00779-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Libres de elegir si migrar o quedarse

Queridos hermanos y hermanas:

Los flujos migratorios de nuestros días son expresión de un fenómeno complejo y articulado, cuya comprensión exige el análisis atento de todos los aspectos que caracterizan las diversas etapas de la experiencia migratoria, desde la partida hasta la llegada, incluyendo un eventual regreso. Con la intención de contribuir a ese esfuerzo de lectura de la realidad, he decidido dedicar el Mensaje para la 109ª Jornada Mundial del Migrante y del Refugiado a la libertad que debería caracterizar siempre la decisión de dejar la propia tierra.

“Libres de partir, libres de quedarse”, recitaba el título de una iniciativa de solidaridad promovida hace algunos años por la Conferencia Episcopal Italiana como respuesta concreta a los desafíos de las migraciones contemporáneas. Y de mi escucha constante a las Iglesias particulares he podido comprobar que la garantía de esa libertad constituye una preocupación pastoral extendida y compartida.

«El Ángel del Señor se apareció en sueños a José y le dijo: “Levántate, toma al niño y a su madre, huye a Egipto y permanece allí hasta que yo te avise, porque Herodes va a buscar al niño para matarlo”» (Mt 2,13). La huida de la Sagrada Familia a Egipto no fue fruto de una decisión libre, como tampoco lo fueron muchas de las migraciones que marcaron la historia del pueblo de Israel. Migrar debería ser siempre una decisión libre; pero, de hecho, en muchísimos casos, hoy tampoco lo es. Conflictos, desastres naturales, o más sencillamente la imposibilidad de vivir una vida digna y próspera en la propia tierra de origen obligan a millones de personas a partir. Ya en el año 2003, san Juan Pablo II afirmaba que «crear condiciones concretas de paz, por lo que atañe a los emigrantes y refugiados, significa comprometerse seriamente a defender ante todo el derecho a no emigrar, es decir, a vivir en paz y dignidad en la propia patria» (Mensaje para la 90a Jornada Mundial del Migrante y del Refugiado, 3).

«Ellos se llevaron también su ganado y las posesiones que habían adquirido en Canaán. Así llegaron a Egipto, Jacob y toda su familia» (Gn 46,6). Fue a causa de una gran hambruna que Jacob con toda su familia se vio obligado a refugiarse en Egipto, donde su hijo José les había asegurado la supervivencia. Entre las causas más visibles de las migraciones forzadas contemporáneas se encuentran las persecuciones, las guerras, los fenómenos atmosféricos y la miseria. Los migrantes escapan debido a la pobreza, al miedo, a la desesperación. Para eliminar estas causas y acabar finalmente con las migraciones forzadas es necesario el trabajo común de todos, cada uno de acuerdo a sus propias responsabilidades. Es un esfuerzo que comienza por preguntarnos qué podemos hacer, pero también qué debemos dejar de hacer. Debemos esforzarnos por detener la carrera de armamentos, el colonialismo económico, la usurpación de los recursos ajenos, la devastación de nuestra casa común.

«Todos los creyentes se mantenían unidos y ponían lo suyo en común: vendían sus propiedades y sus bienes, y distribuían el dinero entre ellos, según las necesidades de cada uno» (Hch 2,44-45). ¡El ideal de la primera comunidad cristiana parece muy alejado de la realidad actual! Para que la migración sea una decisión realmente libre, es necesario esforzarse por garantizar a todos una participación equitativa en el bien común, el respeto de los derechos fundamentales y el acceso al desarrollo humano integral. Sólo así se podrá ofrecer a cada uno la posibilidad de vivir dignamente y realizarse personalmente y como familia. Está claro que la tarea principal corresponde a los países de origen y a sus gobernantes, llamados a ejercitar la buena política, transparente, honesta, con amplitud de miras y al servicio de todos, especialmente de los más vulnerables. Sin embargo, aquellos han de estar en condiciones de realizar tal cosa sin ser despojados de los propios recursos naturales y humanos, y sin injerencias externas dirigidas a favorecer los intereses de unos pocos. Y allí donde las circunstancias permitan elegir si migrar o quedarse, también habrá de garantizarse que esa decisión sea informada y ponderada, para evitar que tantos hombres, mujeres y niños sean víctimas de ilusiones peligrosas o de traficantes sin escrúpulos.

«En este año jubilar cada uno de ustedes regresará a su propiedad» (Lv 25,13). La celebración del jubileo para el pueblo de Israel representaba un acto de justicia colectivo; todos podían «regresar a la situación originaria, con la cancelación de todas las deudas, la restitución de la tierra, y la posibilidad de gozar de nuevo de la libertad propia de los miembros del pueblo de Dios» (Catequesis, 10 febrero 2016). Mientras nos acercamos al Jubileo del 2025, es bueno recordar este aspecto de las celebraciones jubilares. Es necesario un esfuerzo conjunto de cada uno de los países y de la comunidad internacional para que se asegure a todos el derecho a no tener que emigrar, es decir, la posibilidad de vivir en paz y con dignidad en la propia tierra. Se trata de un derecho aún no codificado, pero de fundamental importancia, cuya garantía se comprende como corresponsabilidad de todos los estados respecto a un bien común que va más allá de los límites nacionales. En efecto, debido a que los recursos mundiales no son ilimitados, el desarrollo de los países económicamente más pobres depende de la capacidad de compartir que se logra generar entre todas las naciones. Hasta que este derecho no esté garantizado —y se trata de un largo camino— todavía serán muchos los que deban partir para buscar una vida mejor.

«Porque tuve hambre, y ustedes me dieron de comer; tuve sed, y me dieron de beber; estaba de paso, y me alojaron; desnudo, y me vistieron; enfermo, y me visitaron; preso, y me vinieron a ver» (Mt 25,35-36). Estas palabras resuenan como una exhortación constante a reconocer en el migrante no sólo un hermano o una hermana en dificultad, sino a Cristo mismo que llama a nuestra puerta. Por eso, mientras trabajamos para que toda migración pueda ser fruto de una decisión libre, estamos llamados a tener el máximo respeto por la dignidad de cada migrante; y esto significa acompañar y gobernar los flujos del mejor modo posible, construyendo puentes y no muros, ampliando los canales para una migración segura y regular. Dondequiera que decidamos construir nuestro futuro, en el país donde hemos nacido o en otro lugar, lo importante es que haya siempre allí una comunidad dispuesta a acoger, proteger, promover e integrar a todos, sin distinción y sin dejar a nadie fuera.

El camino sinodal que, como Iglesia, hemos emprendido, nos lleva a ver a las personas más vulnerables —y entre ellas a muchos migrantes y refugiados— como unos compañeros de viaje especiales, que hemos de amar y cuidar como hermanos y hermanas. Sólo caminando juntos podremos ir lejos y alcanzar la meta común de nuestro viaje.

Roma, San Juan de Letrán, 11 de mayo de 2023

FRANCISCO

* * *

Oración

Oh Dios, Padre todopoderoso,

concédenos la gracia de comprometernos activamente

en favor de la justicia, la solidaridad y la paz,

para que a todos tus hijos se les asegure

la libertad de elegir si migrar o quedarse.

Concédenos la valentía de denunciar

todos los horrores de nuestro mundo,

de luchar contra toda injusticia

que desfigura la belleza de tus criaturas

y la armonía de nuestra casa común.

Sostennos con la fuerza de tu Espíritu,

para que podamos manifestar tu ternura

a cada migrante que pones en nuestro camino

y difundir en los corazones y en cada ambiente

la cultura del encuentro y del cuidado.

[00779-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Livres de escolher se migrar ou ficar

Queridos irmãos e irmãs!

Os fluxos migratórios dos nossos dias são expressão dum fenómeno complexo e articulado, cuja compreensão exige uma análise cuidadosa de todos os aspetos que caraterizam as diferentes etapas da experiência migratória, desde a partida até à chegada, incluindo um possível regresso. Com o intuito de contribuir para este esforço de leitura da realidade, decidi dedicar a Mensagem do CIX Dia Mundial do Migrante e do Refugiado à liberdade que sempre deveria animar a escolha de deixar a própria terra.

«Livres de partir, livres de ficar» era o título duma iniciativa de solidariedade, promovida há alguns anos pela Conferência Episcopal Italiana como resposta concreta aos desafios das migrações atuais. E, na escuta regular das Igrejas particulares, pude constatar que a garantia de tal liberdade é uma preocupação pastoral difusa e partilhada.

«O anjo do Senhor apareceu em sonhos a José e disse-lhe: “Levanta-te, toma o menino e sua mãe, foge para o Egito e fica lá até que eu te avise, pois Herodes procurará o menino para o matar”» (Mt 2, 13). A fuga da Sagrada Família para o Egito não é fruto duma escolha livre, como aliás não o foram muitas das migrações que marcaram a história do povo de Israel. O ato de migrar deveria ser sempre uma escolha livre, mas realmente, ainda hoje, em muitos casos não o é. Conflitos, desastres naturais ou, simplesmente, a impossibilidade de levar uma vida digna e próspera na própria terra natal obrigam milhões de pessoas a partir. Já em 2003 afirmava São João Paulo II que «realizar condições concretas de paz, no que diz respeito aos migrantes e itinerantes, significa comprometer-se seriamente a salvaguardar antes de mais o direito a não emigrar, ou seja, a viver em paz e dignidade na própria Pátria» (Mensagem para o XC Dia Mundial do Migrante e do Refugiado, 3).

«Tomaram os seus rebanhos e os bens que tinham adquirido no país de Canaã e foram para o Egito Jacob e toda a família» (Gn 46, 6). Por causa duma grave carestia, Jacob, com toda a sua família, foi obrigado a refugiar-se no Egito, onde seu filho José assegurara a sua sobrevivência. Perseguições, guerras, fenómenos atmosféricos e miséria contam-se entre as causas mais visíveis das migrações forçadas contemporâneas. Os migrantes fogem por causa da pobreza, do medo, do desespero. Para eliminar estas causas e assim acabar com as migrações forçadas, é necessário o empenho comum de todos, cada qual segundo as próprias responsabilidades; empenho esse, que começa por nos perguntarmos o que podemos fazer, mas também o que devemos deixar de fazer. Devemos prodigalizar-nos para deter a corrida armamentista, o colonialismo económico, a pilhagem dos recursos alheios, a devastação da nossa casa comum.

«Todos os crentes viviam unidos e possuíam tudo em comum. Vendiam terras e outros bens e distribuíam o dinheiro por todos, de acordo com as necessidades de cada um» (At 2, 44-45). Como parece distante da realidade atual este ideal da primeira comunidade cristã! Para fazer da migração uma escolha verdadeiramente livre, é preciso esforçar-se por garantir a todos uma participação equitativa no bem comum, o respeito dos direitos fundamentais e o acesso ao desenvolvimento humano integral. Só assim será possível oferecer a cada um a possibilidade de viver com dignidade e realizar-se pessoalmente e como família. É claro que a responsabilidade principal cabe aos países de origem e seus governantes, chamados a exercer uma boa política, que seja transparente, honesta, clarividente e ao serviço de todos, especialmente dos mais vulneráveis. Contudo devem ser colocados em condições de o fazer, sem se ver depredados dos próprios recursos naturais e humanos e sem interferências externas visando favorecer os interesses de poucos. E mesmo quando as circunstâncias permitirem escolher se migrar ou ficar, será necessário, em todo o caso, garantir que essa escolha seja esclarecida e ponderada, a fim de evitar que muitos homens, mulheres e crianças caiam vítimas de perigosas ilusões ou de traficantes sem escrúpulos.

«Neste jubileu, cada um de vós recobrará a sua propriedade» (Lv 25, 13). Para o povo de Israel, a celebração do jubileu representava um ato coletivo de justiça: todos podiam voltar «à situação originária, com o cancelamento de todas as dívidas, a restituição da terra e a possibilidade de gozar novamente da liberdade, própria dos membros do povo de Deus» (Francisco, Catequese, 10/II/2016). Ao aproximar-nos do Jubileu de 2025, é bom recordar este aspeto das celebrações jubilares. É necessário um esforço conjunto de cada país e da Comunidade Internacional para assegurar a todos o direito de não ter que emigrar, ou seja, a possibilidade de viver em paz e com dignidade na própria terra. Trata-se dum direito ainda não codificado, mas de importância fundamental, cuja garantia supõe a corresponsabilidade de todos os Estados já que se trata dum bem comum que ultrapassa as fronteiras nacionais. De facto, como os recursos mundiais não são ilimitados, o desenvolvimento dos países economicamente mais pobres depende da capacidade de partilha que se conseguir gerar entre todos os países. Enquanto este direito não for garantido – e espera-nos um longo caminho –, serão ainda muitos os que terão de partir à procura duma vida melhor.

«Porque tive fome e destes-me de comer, tive sede e destes-me de beber, era peregrino e recolhestes-me, estava nu e destes-me que vestir, adoeci e visitastes-me, estive na prisão e fostes ter comigo» (Mt 25, 35-36). Estas palavras soam como admoestação constante para reconhecermos no migrante não só um irmão ou uma irmã em dificuldade, mas o próprio Cristo que bate à nossa porta. Por isso, enquanto trabalhamos para que toda a migração possa ser fruto duma escolha livre, somos chamados a ter o maior respeito pela dignidade de cada migrante; e isto significa acompanhar e gerir da melhor forma possível os seus fluxos, construindo pontes e não muros, alargando os canais para uma migração segura e regular. Onde quer que decidamos construir o nosso futuro – no país onde nascemos ou fora dele –, o importante é que lá haja sempre uma comunidade pronta a acolher, proteger, promover e integrar a todos, sem distinção nem deixar ninguém de fora.

O percurso sinodal, que empreendemos como Igreja, leva-nos a ver, nas pessoas mais vulneráveis – e entre elas contam-se muitos migrantes e refugiados –, companheiros de viagem especiais, que havemos de amar e cuidar como irmãos e irmãs. Só caminhando juntos, poderemos ir longe e alcançar a meta comum da nossa viagem.

Roma, São João de Latrão, 11 de maio de 2023.

FRANCISCO

* * *

Oração

Deus, Pai Omnipotente,

dai-nos a graça de nos empenharmos diligentemente

em favor da justiça, da solidariedade e da paz,

para que a todos os vossos filhos seja assegurada

a liberdade de escolher se migrar ou ficar.

Dai-nos a coragem de denunciar

todos os horrores do nosso mundo,

de lutar contra toda a injustiça

que desfigura a beleza das vossas criaturas

e a harmonia da nossa casa comum.

Amparai-nos com a força do vosso Espírito,

para que possamos manifestar a vossa ternura

a cada migrante que colocais no nosso caminho

e espalhar nos corações e em todos os ambientes

a cultura do encontro e do cuidado.

[00779-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wolni, aby wybrać: migrować, czy pozostać

Drodzy bracia i siostry!

Dzisiejsze przepływy migracyjne są wyrazem złożonego i wieloaspektowego zjawiska, którego zrozumienie wymaga dokładnej analizy wszystkich aspektów charakteryzujących różne etapy doświadczenia migracyjnego, od wyjazdu po przyjazd, w tym ewentualny powrót. Pragnąc wnieść swój wkład w ten wysiłek odczytywania rzeczywistości, postanowiłem poświęcić Orędzie z okazji 109. Światowego Dnia Migranta i Uchodźcy tematowi wolności, która zawsze powinna naznaczać wybór opuszczenia własnej ziemi.

„Wolni by wyjechać, wolni by pozostać” – taki tytuł nosiła inicjatywa solidarnościowa promowana kilka lat temu przez Konferencję Episkopatu Włoch, jako konkretna odpowiedź na wyzwania współczesnej migracji. A z mojego stałego wsłuchiwania się w głos Kościołów partykularnych wynika, że zapewnienie takiej wolności jest rozpowszechnioną i wspólną troską duszpasterską.

„Anioł Pański ukazał się Józefowi we śnie i rzekł: «Wstań, weź Dziecię i Jego Matkę i uchodź do Egiptu; pozostań tam, aż ci powiem; bo Herod będzie szukał Dziecięcia, aby Je zgładzić»” (Mt 2, 13). Ucieczka Świętej Rodziny do Egiptu nie była wynikiem wolnego wyboru, podobnie, jak nie było nim również wiele migracji, które naznaczyły historię ludu Izraela. Migracja powinna być zawsze dobrowolną decyzją, ale w rzeczywistości, w bardzo wielu przypadkach, również dzisiaj, tak nie jest. Konflikty, klęski żywiołowe, czy też po prostu niemożność godnego i dostatniego życia we własnej ojczyźnie, zmuszają miliony osób do wyjazdu. Już w 2003 r. św. Jan Paweł II podkreślał, że „tworzyć konkretne warunki sprzyjające pokojowi znaczy – w odniesieniu do migrantów i uchodźców – poważnie zadbać o zabezpieczenie przede wszystkim prawa do nieemigrowania, to znaczy do godnego życia w pokoju we własnej ojczyźnie” (Orędzie na 90. Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy, 3).

„Zabrali też swe trzody i swój dobytek, który nabyli w Kanaanie. Tak przybył Jakub do Egiptu wraz z całym potomstwem” (Rdz 46, 6). To właśnie z powodu dotkliwego głodu Jakub i cała jego rodzina zostali zmuszeni do schronienia się w Egipcie, gdzie syn Jakuba, Józef zapewnił im przetrwanie. Prześladowania, wojny, zjawiska atmosferyczne i nędza należą do najbardziej widocznych przyczyn współczesnych przymusowych migracji. Migranci uciekają z powodu biedy, ze strachu, z rozpaczy. Aby wyeliminować te przyczyny i tym samym położyć kres przymusowej migracji, potrzebujemy wspólnego zaangażowania wszystkich, każdego zgodnie z jego zakresem obowiązków. Zaangażowania, które zaczyna się od zadania sobie pytania, co możemy uczynić, ale także czego należy zaprzestać. Musimy dążyć do powstrzymania wyścigu zbrojeń, kolonializmu gospodarczego, rabowania cudzych zasobów, dewastowania naszego wspólnego domu.

„Wszyscy, co uwierzyli, przebywali razem i wszystko mieli wspólne. Sprzedawali majątki i dobra i rozdzielali je każdemu według potrzeby” (Dz 2, 44-45). Ideał pierwszej wspólnoty chrześcijańskiej wydaje się bardzo daleki od dzisiejszej rzeczywistości! Aby migracja stała się prawdziwie wolnym wyborem, musimy dążyć do zapewnienia każdemu sprawiedliwego udziału w dobru wspólnym, poszanowania praw podstawowych i dostępu do integralnego rozwoju człowieka. Tylko w ten sposób będzie można dać każdemu szansę na godne życie i na spełnienie osobiste oraz w życiu rodzinnym. To jasne, że główne zadanie spoczywa na krajach pochodzenia migrantów i na tych, którzy nimi rządzą. Są oni wezwani do prowadzenia dobrej polityki, przejrzystej, uczciwej, dalekowzrocznej i służącej wszystkim, a zwłaszcza najsłabszym. Rządzącym należy jednak stworzyć ku temu odpowiednie warunki, bez ograbiania ich z własnych zasobów naturalnych i ludzkich oraz bez ingerencji sił zewnętrznych, skoncentrowanych na faworyzowaniu interesów nielicznych. Tam zaś, gdzie warunki pozwalają na wybór: migrować, czy pozostać, trzeba też zagwarantować, że decyzja ta będzie świadoma i przemyślana. Pozwoli to uniknąć sytuacji, w której wielu mężczyzn oraz wiele kobiet i dzieci pada ofiarą niebezpiecznych złudzeń lub pozbawionych skrupułów handlarzy.

„W tym roku jubileuszowym każdy powróci do swej własności” (Kpł 25, 13). Obchody jubileuszu dla narodu izraelskiego stanowiły akt zbiorowej sprawiedliwości: każdy mógł „powrócić do pierwotnej sytuacji – dzięki przekreśleniu wszelkiego długu, zwróceniu ziemi i daniu możliwości cieszenia się na nowo wolnością właściwą członkom Ludu Bożego” (Katecheza, 10 lutego 2016 r.). Zbliżając się do Jubileuszu 2025 roku, dobrze przypomnieć sobie ten aspekt obchodów jubileuszowych. Potrzebny jest wspólny wysiłek poszczególnych państw i wspólnoty międzynarodowej, aby zapewnić każdemu prawo do nieemigrowania, czyli możliwość życia w pokoju i godności na własnej ziemi. Jest to prawo, które nie zostało jeszcze skodyfikowane, ale które ma fundamentalne znaczenie. Jego zagwarantowanie należy rozumieć jako współodpowiedzialność wszystkich państw wobec dobra wspólnego, które wykracza poza granice państwowe. Trzeba bowiem pamiętać, że ponieważ zasoby świata nie są nieograniczone, to rozwój krajów biedniejszych gospodarczo zależy od zdolności do dzielenia się, jaką można wypracować między wszystkimi państwami. Dopóki prawo to nie zostanie zagwarantowane – a droga ku temu jest daleka – jeszcze wielu będzie musiało wyjechać w poszukiwaniu lepszego życia.

„Bo byłem głodny, a daliście Mi jeść; byłem spragniony, a daliście Mi pić; byłem przybyszem, a przyjęliście Mnie; byłem nagi, a przyodzialiście Mnie; byłem chory, a odwiedziliście Mnie; byłem w więzieniu, a przyszliście do Mnie” (Mt 25, 35-36). Te słowa brzmią jak nieustanna przestroga, by w migrancie rozpoznawać nie tylko brata lub siostrę w potrzebie, ale samego Chrystusa, pukającego do naszych drzwi. Dlatego też pracując nad tym, aby każda migracja mogła być owocem wolnego wyboru, jesteśmy wezwani do najwyższego szacunku wobec godności każdego migranta. Oznacza to towarzyszenie i kierowanie ruchami migracyjnymi w najlepszy możliwy sposób, budowanie mostów, a nie murów, poszerzanie kanałów bezpiecznej i regularnej migracji. Gdziekolwiek zdecydujemy się budować naszą przyszłość, w kraju, w którym się urodziliśmy czy gdzie indziej, ważne, by zawsze znalazła się tam wspólnota gotowa przyjąć, chronić, promować i integrować wszystkich, bez różnicowania i bez pomijania kogokolwiek.

Proces synodalny, który podjęliśmy jako Kościół, prowadzi nas do dostrzegania w osobach najbardziej narażonych na niebezpieczeństwo – a jest wśród nich wielu migrantów i uchodźców – szczególnych towarzyszy podróży, których należy miłować i otaczać opieką jako braci i siostry. Tylko podążając razem możemy dojść daleko i osiągnąć wspólny cel naszej podróży.

Rzym, u św. Jana na Lateranie, 11 maja 2023 r.

FRANCISZEK

* * *

Modlitwa

Boże, Ojcze wszechmogący

daj nam łaskę rzetelnego zaangażowania się

na rzecz sprawiedliwości, solidarności i pokoju,

aby wszystkie Twoje dzieci miały zapewnioną

wolność wyboru migracji lub pozostania.

Daj nam odwagę, byśmy demaskowali

wszystkie okrucieństwa naszego świata,

walczyli z wszelką niesprawiedliwością,

która niszczy piękno Twoich stworzeń

i harmonię naszego wspólnego domu.

Wspieraj nas mocą Twego Ducha,

abyśmy mogli okazać Twoją czułość

każdemu migrantowi, którego stawiasz na naszej drodze

i szerzyli w sercach i w każdym środowisku

kulturę spotkania i troski.

[00779-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي المائة والتّاسع للمهاجرين واللاجئين

أحرارٌ في أن نختار بين الهجرة أو البقاء

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!

تدفّق الهجرة اليوم هو تعبير عن ظاهرة معقّدة ومحدّدة، يتطلّب فهمها تحليلًا دقيقًا لجميع الجوانب التي تميّز المراحل المختلفة لخبرة الهجرة، منذ لحظة المغادرة إلى الوصول، بما في ذلك العودة المحتملة. بهدف المساهمة في هذا الجهد لقراءة الواقع وفهمه، قرّرت تكريس الرّسالة لليوم العالمي المائة والتّاسع للمهاجرين واللاجئين للحرّيّة التي يجب أن تميّز دائمًا خيار ترك الأرض.

”أحرارٌ للمغادرة، وأحرارٌ للبقاء“، هذا هو عنوان مبادرة التّضامن التي روّج لها قبل بضع سنوات مؤتمّر الأساقفة الإيطالي جوابًا عمليًّا لتحديّات الهجرة المعاصرة. وبإصغائي المستمرّ إلى الكنائس الخاصّة، تمكّنت من أن أبيِّن أنّ ضمان هذه الحرّيّة إنّما هو اهتمام رعويّ منتشر ومشترك.

"تَراءَى مَلاكُ الرَّبِّ لِيوسُفَ في الحُلمِ وقالَ له: قُم فَخُذِ الطِّفْلَ وأُمَّه واهرُبْ إِلى مِصْر وأَقِمْ هُناكَ حَتَّى أُعْلِمَك، لأَنَّ هيرودُسَ سَيَبْحَثُ عنِ الطِّفلِ لِيُهلِكَه'' (متّى 2، 13). لم يكن هرب العائلة المقدّسة إلى مصر نتيجة خيار حرّ، كما لم يكن كذلك الأمر في الهجرات العديدة التي ميّزت تاريخ شعب إسرائيل. يجب أن تكون الهجرة دائمًا خيارًا حرًّا، لكنّها في الواقع ليست كذلك في كثير من الحالات، وحتّى اليوم. الصّراعات أو الكوارث الطّبيعيّة أو ببساطة استحالة عيش حياة كريمة ومزدهرة في الوطن تجبر الملايين من الناس على مغادرته. في عام 2003، أكّد القدّيس البابا يوحنا بولس الثاني أنّ "بناء ظروف عمليّة للسّلام، فيما يتعلّق بالمهاجرين واللاجئين، يعني الالتزام بجدّيّة بالمحافظة أوّلًا على حقّهم في عدم الهجرة، وبأن يعيشوا في سلام وكرامة في وطنهم" (رسالة في مناسبة اليوم العالمي التّسعين للمهاجرين واللاجئين، 3).

"وأَخَذوا ماشِيَتَهم ومُقْتَنَياتِهِم الَّتي اقتَنَوها في أَرضِ كَنْعان، وقَدِموا إِلى مِصْر، يَعْقوبُ وكُلُّ ذُرِّيَّتِه معَه" (تكوين 46، 6). بسبب المجاعة الشّديدة، اضطُرَّ يعقوب وعائلته بأكملها إلى اللجوء إلى مصر، حيث ضمن لهم ابنه يوسف بقاءهم. الاضطهادات والحروب والظّواهر المناخيّة والبؤس، هي من بين أكثر الأسباب المرئيّة للهجرة القسرية المعاصرة. المهاجرون يهربون بسبب الفقر والخوف واليأس. من أجل القضاء على هذه الأسباب، وبالتّالي وضع حدّ للهجرة القسرية، فإنّ التّزام الجميع المشترك ضروري، كلّ واحد حسب مسؤولياته. هذا الالتزام يبدأ بأن نسأل أنفسنا ماذا يمكننا أن نصنع، ولكن أيضًا ماذا يجب علينا أن نتوقّف عن صنعه. يجب أن نبذل قصارى جهدنا لوقف سباق التّسلّح، والاستعمار الاقتصاديّ، ونهب موارد الآخرين، وتدمير بيتنا المشترك.

"كانَ جَميعُ الَّذينَ آمنوا جماعةً واحِدة، يَجعَلونَ كُلَّ شَيءٍ مُشتَرَكًا بَينَهم، يَبيعونَ أَملاكَهم وأَمْوالَهم، ويَتَقاسَمونَ الثَّمَنَ على قَدْرِ احتِياجِ كُلٍّ مِنْهُم" (أعمال الرّسل 2، 44-45). يبدو مثال الجماعة المسيحيّة الأولى بعيدًا جدًّا عن واقع اليوم! لجعل الهجرة خيارًا حرًّا حقًّا، يجب أن نسعى جاهدين لضمان مشاركة عادلة للجميع في الخير العام، واحترام الحقوق الأساسيّة ووصول الجميع إلى التّنمية البشريّة المتكاملة. بهذه الطّريقة فقط يمكننا أن نوفّر لكلّ واحد إمكانيّة العيش بكرامة، ويجب أن نقوم بذلك كأفراد وعائلة. من الواضح أنّ الواجب الرّئيسي هو واجب البلدان الأصليّة وحكامها، المدعوّين إلى ممارسة سياسات صالحة وشفافة وصادقة وبعيدة النّظر وفي خدمة الجميع، وخاصّة الأضعفين. ومع ذلك، يجب أن يتمّ وضعهم في وضع يمكِّنهم من القيام بذلك، بدون أن يجدوا أنفسهم محرومين من مواردهم الطّبيعيّة والبشريّة، وبدون تدخل خارجي يهدف إلى خدمة مصالح بعض الناس القليلين. وحيثما تسمح الظّروف بالاختيار بين الهجرة أو البقاء، يجب على أيّ حال التّأكد من أنّ هذا الخيار مدروس ومتزن، من أجل تجنّب وقوع العديد من الرّجال والنساء والأطفال ضحيّة لأوهام محفوفة بالمخاطر أو لتجار عديمي الضّمير.

"وفي سَنةِ اليوبيلِ هذه تَرجِعونَ كُلُّ واحِدٍ إِلى مِلكِه" (الأحبار 25، 13). كان الاحتفال باليوبيل يمثّل لشعب إسرائيل عملًا من أعمال العدالة الجماعيّة: كان باستطاعة الجميع "العودة إلى الحالة الأساسيّة مع محو لكلّ دَيْن وإرجاع الأرض وإمكانيّة التّمتُّع مجدّدًا بحريّة أعضاء شعب الله" (المقابلة العامّة، 10 شباط/فبراير 2016). بينما نقترب من يوبيل سنة 2025، حسنٌ أن نتذكّر هذا الجانب من احتفالات اليوبيل. نحن بحاجة إلى جُهد مُشترك من قِبَل البُلدان والمجتمع الدّولي من أجل أن نضمن للجميع الحقّ في عدم ضرورة الهجرة، أيْ، إمكانيّة عيشهم بسلام وكرامة في أرضهم. إنّه حقّ لم يوضع بعد في قانون، لكنّه ذو أهميّة أساسيّة، ويجب أن يدرك الجميع أنّ ضمانه هو مسؤوليّة مُشتركة لكلّ الدُّول تجاه الخير العام الذي يتجاوز الحدود الوطنيّة. في الواقع، بما أنّ الموارد العالميّة ليست غير محدودة، فإنّ تنمية البُلدان الأفقر اقتصاديًّا تعتمد على قُدرة المشاركة التي يمكن خَلقها بين كلّ البُلدان. إلى أن يتمَّ ضمان هذا الحقّ - وهي مسيرة طويلة – سيكون هناك أشخاصٌ كثيرون مُجبَرون على المغادرة بحثًا عن حياة أفضل.

"لأَنِّي جُعتُ فأَطعَمتُموني، وعَطِشتُ فسَقَيتُموني، وكُنتُ غَريبًا فآويتُموني، وعُريانًا فَكسَوتُموني، ومَريضًا فعُدتُموني، وسَجينًا فجِئتُم إِلَيَّ" (متّى 25، 35-36). تبدو هذه الكلمات بمثابة تحذير دائم لكي نتعرّف على المهاجر ليس فقط على أنّه أخٌ أو أختٌ يواجه صعوبة، بل على أنّه المسيح نفسه الذي يدقّ على بابنا. لذلك، بينما نعمل حتّى تكون كلّ هِجرة ثمرة خيار حُرّ، نحن مدعوّون إلى أن نحترم احترامًا كاملًا كرامة كلّ مهاجر، وهذا يعني أن نرافق تدفّق الهجرة ونُديرها بأفضل طريقة ممكنة، فنبني جسورًا لا جدرانًا، ونوسّع القنوات من أجل هجرة آمنة ونظاميّة. أينما قرّرنا أن نبني مستقبلنا، في البلد الذي فيه وُلِدنا أو في مكان آخر، المهمّ هو أن يكون هناك دائمًا جماعة مستعدّة لاستقبال الجميع وحمايتهم وتعزيزهم ودمجهم في المجتمع، من دون تمييز ومن دون تَرْكِ أيّ شخص خارجًا.

تحملنا المسيرة السّينوديّة التي قُمنا بها ككنيسة، على أن نرى في الأشخاص الأضعفين - ومن بينهم المهاجرين واللاجئين الكثيرين - رُفقاءَ سَفَر مميّزين، علينا أن نحبّهم ونعتني بهم مثل إخوة وأخوات. فقط إذا سِرنا معًا سنتمكَّن مِن أن نذهب بعيدًا ونَصِل إلى الهدف المُشترك لرحلتنا.

روما، بازيليكا القدّيس يوحنا في اللاتران، يوم 11 مايو/أيار 2023.

فرنسيس

* * *

صلاة

أيّها الرّبّ الإله، الآب القدير،

أعطنا النّعمة لنلتزم بنشاط

من أجل العَدل والتّضامن والسّلام،

حتّى نضمن لجميع أبنائك

حرّيّة اختيار الهجرة أو البقاء.

أعطنا الشّجاعة لأن نُنَدِّدَ

بأهوال عالمنا كلّها،

ولنكافح كلَّ ظُلم

يشوّه جمال مخلوقاتك

وانسجام بيتنا المشترك.

ساندنا بقوّة روحك القدّوس،

حتّى نقدر أن نُظهر حنانك

لكلّ مُهاجر تضعُه في طريقنا

وننشر في القلوب وفي كلّ بيئة

ثقافة اللقاء والعناية.

[00779-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0353-XX.02]