Holy See
This article was added by the user . TheWorldNews is not responsible for the content of the platform.

Messaggio del Santo Padre per la XXXI Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2023)

Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco in occasione della XXXI Giornata Mondiale del Malato che ricorre l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, sul tema: “Abbi cura di lui”. La compassione come esercizio sinodale di guarigione”:

Messaggio del Santo Padre

«Abbi cura di lui».

La compassione come esercizio sinodale di guarigione

Cari fratelli e sorelle!

La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri “si arrangino”. Perciò, in questa XXXI Giornata Mondiale del Malato, nel pieno di un percorso sinodale, vi invito a riflettere sul fatto che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza.

Nel Libro del profeta Ezechiele, in un grande oracolo che costituisce uno dei punti culminanti di tutta la Rivelazione, il Signore parla così: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, […] le pascerò con giustizia» (34,15-16). L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto.

L’Enciclica Fratelli tutti, come sapete, propone una lettura attualizzata della parabola del Buon Samaritano. L’ho scelta come cardine, come punto di svolta, per poter uscire dalle “ombre di un mondo chiuso” e “pensare e generare un mondo aperto” (cfr n. 56). C’è infatti una connessione profonda tra questa parabola di Gesù e i molti modi in cui oggi la fraternità è negata. In particolare, il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. Distinguere quali assalti alla vita e alla sua dignità provengano da cause naturali e quali invece siano causati da ingiustizie e violenze non è facile. In realtà, il livello delle disuguaglianze e il prevalere degli interessi di pochi incidono ormai su ogni ambiente umano in modo tale, che risulta difficile considerare “naturale” qualunque esperienza. Ogni sofferenza si realizza in una “cultura” e fra le sue contraddizioni.

Ciò che qui importa, però, è riconoscere la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione. Due passanti, considerati religiosi, vedono il ferito e non si fermano. Il terzo, invece, un samaritano, uno che è oggetto di disprezzo, è mosso a compassione e si prende cura di quell’estraneo lungo la strada, trattandolo da fratello. Così facendo, senza nemmeno pensarci, cambia le cose, genera un mondo più fraterno.

Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura. Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli.

La Giornata Mondiale del Malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. La profezia di Ezechiele citata all’inizio contiene un giudizio molto duro sulle priorità di coloro che esercitano sul popolo un potere economico, culturale e di governo: «Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza» (34,3-4). La Parola di Dio è sempre illuminante e contemporanea. Non solo nella denuncia, ma anche nella proposta. La conclusione della parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male.

Gli anni della pandemia hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.

«Abbi cura di lui» (Lc 10,35) è la raccomandazione del Samaritano all’albergatore. Gesù la rilancia anche ad ognuno di noi, e alla fine ci esorta: «Va’ e anche tu fa’ così». Come ho sottolineato in Fratelli tutti, «la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (n. 67). Infatti, «siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile» (n. 68).

Anche l’11 febbraio 2023, guardiamo al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.

All’intercessione di Maria, Salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità. A tutti invio di cuore la mia benedizione apostolica.

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2023.

FRANCESCO

[00044-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

« Prends soin de lui ».

La compassion comme exercice synodal de guérison

Chers frères et sœurs !

La maladie fait partie de notre expérience humaine. Mais elle peut devenir inhumaine si elle est vécue dans l’isolement et dans l’abandon, si elle n’est pas accompagnée de soins et de compassion. Quand on marche ensemble, il arrive que quelqu’un se sente mal, qu’il doive s’arrêter en raison de la fatigue ou d’un incident de parcours. C’est là, dans ces moments-là, que l’on se rend compte de la façon dont nous cheminons : si réellement nous cheminons ensemble ou bien si l’on est sur la même route, mais chacun pour son compte, ne s’occupant que de ses propres intérêts et laissant les autres “s’arranger” comme ils peuvent. Par conséquent, en cette XXXIème Journée Mondiale du Malade, au beau milieu d’un parcours synodal, je vous invite à réfléchir sur le fait que c’est précisément à travers l’expérience de la fragilité et de la maladie que nous pouvons apprendre à marcher ensemble selon le style de Dieu, qui est proximité, compassion et tendresse.

Dans le Livre du prophète Ézéchiel, dans un grand oracle qui constitue un des points culminants de la Révélation, le Seigneur parle ainsi : « C’est moi qui ferai paître mon troupeau, et c’est moi qui le ferai reposer – oracle du Seigneur Dieu. La brebis perdue, je la chercherai ; l’égarée, je la ramènerai. Celle qui est blessée, je la panserai. Celle qui est malade, je lui rendrai des forces […] je la ferai paître selon le droit » (34, 15-16). L’expérience de l’égarement, de la maladie et de la faiblesse fait naturellement partie de notre chemin : ils ne nous excluent pas du peuple de Dieu, au contraire, ils nous placent au centre de l’attention du Seigneur, qui est Père et ne veut perdre en chemin pas même un seul de ses enfants. Il s’agit donc d’apprendre de lui, pour être véritablement une communauté qui chemine ensemble, capable de ne pas se laisser contaminer par la culture du rejet.

L’Encyclique Fratelli tutti, comme vous le savez, propose une lecture actualisée de la parabole du Bon Samaritain. Je l’ai choisie comme point cardinal, comme pivot, pour pouvoir sortir des « ombres d’un monde fermé » et « penser et engendrer un monde ouvert » (cf. n. 56). Il existe, en effet, un lien profond entre cette parabole de Jésus et les nombreuses façons dont la fraternité est aujourd’hui niée. En particulier, le fait que la personne malmenée et volée soit abandonnée au bord de la route représente la condition où sont laissés trop de nos frères et sœurs au moment où ils ont le plus besoin d’aide. Il n’est pas facile de distinguer entre les assauts menés contre la vie et sa dignité qui proviennent de causes naturelles et ceux qui sont, en revanche, causés par les injustices et les violences. En réalité, le niveau des inégalités et la prévalence des intérêts de quelques-uns affectent désormais tous les milieux humains, de sorte qu’il apparaît difficile de considérer quelque expérience que ce soit comme étant “naturelle”. Toute souffrance prend place dans une “culture” et au milieu de ses contradictions.

Ce qui importe, toutefois, c’est de reconnaître la condition de solitude, d’abandon. Il s’agit d’une atrocité qui peut être surmontée avant toute autre injustice, car – comme le rapporte la parabole – il suffit d’un instant d’attention, d’un mouvement intérieur de compassion, pour l’éliminer. Deux passants, considérés comme des religieux, voient le blessé mais ne s’arrêtent pas. Le troisième, au contraire, un Samaritain, un homme méprisé, est mû par la compassion et prend soin de cet étranger qui gît au bord de la route, le traitant comme un frère. En faisant cela, sans même y penser, il change les choses, il engendre un monde plus fraternel.

Frères et sœurs, nous ne sommes jamais prêts pour la maladie. Et souvent nous ne sommes pas prêts non plus à admettre que nous avançons en âge. Nous craignons la vulnérabilité, et la culture envahissante du marché nous pousse à la nier. Il n’y a pas de place pour la fragilité. Et ainsi le mal, quand il fait irruption et nous assaille, nous laisse à terre, assommés. Il peut alors arriver que les autres nous abandonnent ou qu’il nous semble devoir les abandonner, pour ne pas être un poids pour eux. Ainsi commence la solitude et le sentiment amer d’une injustice nous empoisonne car le Ciel aussi semble se fermer. De fait, nous peinons à demeurer en paix avec Dieu, quand la relation avec les autres et avec nous-mêmes se détériore. Voilà pourquoi il est si important, notamment en ce qui touche à la maladie, que l’Église tout entière se mesure à l’exemple évangélique du Bon Samaritain, pour devenir un bon “hôpital de campagne” : sa mission s’exprime en effet en prenant soin des autres, particulièrement dans les circonstances historiques que nous traversons. Nous sommes tous fragiles et vulnérables ; nous avons tous besoin de cette attention remplie de compassion qui sait s’arrêter, s’approcher, soigner et soulager. La condition des malades est donc un appel qui interrompt l’indifférence et freine les pas de ceux qui avancent comme s’ils n’avaient ni frères ni sœurs.

La Journée Mondiale du Malade, en effet, n’invite pas seulement à la prière et à la proximité envers les souffrants ; en même temps, elle vise à sensibiliser le peuple de Dieu, les institutions sanitaires et la société civile à une nouvelle façon d’avancer ensemble. La prophétie d’Ézéchiel citée au début contient un jugement très dur sur les priorités de ceux qui exercent un pouvoir économique, culturel et gouvernemental sur le peuple : « Vous vous êtes nourris de lait, vous vous êtes vêtus de laine, vous avez sacrifié les brebis les plus grasses, mais vous n’avez pas fait paître le troupeau. Vous n’avez pas fortifié les brebis chétives, soigné celle qui était malade, pansé celle qui était blessée. Vous n’avez pas ramené celle qui s’égarait, cherché celle qui était perdue. Mais vous les avez régies avec violence et dureté » (34, 3-4). La Parole de Dieu est toujours éclairante et contemporaine. Non seulement pour dénoncer, mais aussi pour proposer. De fait, la conclusion de la parabole du Bon Samaritain nous suggère que l’exercice de la fraternité, qui commence par une rencontre en tête-à-tête, peut être élargi à une prise de soin organisée. L’auberge, l’aubergiste, l’argent, la promesse de se tenir mutuellement informé (cf. Lc 10, 34-35) : tout cela fait penser au ministère des prêtres, au travail des agents sociaux et de santé, à l’engagement des familles et des volontaires grâce auxquels, chaque jour, dans chaque partie du monde, le bien s’oppose au mal.

Les années de la pandémie ont augmenté notre sentiment de gratitude pour ceux qui œuvrent chaque jour pour la santé et la recherche. Mais il ne suffit pas de sortir d’une aussi grande tragédie collective en honorant des héros. La covid-19 a mis à dure épreuve ce grand réseau de compétences et de solidarité et a montré les limites structurelles des systèmes de bien-être (welfare) existants. Il faut donc qu’à la gratitude corresponde la recherche active de stratégies et de ressources, dans chaque pays, pour que tout être humain ait l’assurance d’avoir accès aux soins et que le droit fondamental à la santé soit garanti.

« Prends soin de lui » (Lc 10, 35) : telle est la recommandation du Samaritain à l’aubergiste. Jésus la répète aussi à chacun de nous et, à la fin, nous exhorte ainsi : « Va, et toi aussi, fais de même ». Comme je l’ai souligné dans Fratelli tutti, « la parabole nous montre par quelles initiatives une communauté peut être reconstruite grâce à des hommes et des femmes qui s’approprient la fragilité des autres, qui ne permettent pas qu’émerge une société d’exclusion mais qui se font proches et relèvent puis réhabilitent celui qui est à terre, pour que le bien soit commun » (n° 67). De fait, « nous avons été créés pour une plénitude qui n’est atteinte que dans l’amour. Vivre dans l’indifférence face à la douleur n’est pas une option possible » (n. 68).

Le 11 février 2023 aussi, tournons notre regard vers le Sanctuaire de Lourdes comme vers une prophétie, une leçon confiée à l’Église au cœur de la modernité. Il n’y a pas que ce qui a de la valeur qui fonctionne et il n’y a pas que celui qui produit qui compte. Les personnes malades sont au centre du peuple de Dieu qui avance avec elles comme prophétie d’une humanité où chacun est précieux et où personne n’est à exclure.

Je confie chacun de vous, qui êtes malades, à l’intercession de Marie, Santé des malades ; vous aussi qui prenez soin d’eux en famille, par le travail, la recherche et le volontariat ; et vous qui vous engagez à tisser des liens personnels, ecclésiaux et civils de fraternité. J’envoie à tous ma bénédiction apostolique.

Rome, Saint-Jean-de-Latran, 10 janvier 2023

FRANÇOIS

[00044-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Take care of him”

Compassion as a synodal exercise of healing

Dear brothers and sisters!

Illness is part of our human condition. Yet, if illness is experienced in isolation and abandonment, unaccompanied by care and compassion, it can become inhumane.

When we go on a journey with others, it is not unusual for someone to feel sick, to have to stop because of fatigue or of some mishap along the way. It is precisely in such moments that we see how we are walking together: whether we are truly companions on the journey, or merely individuals on the same path, looking after our own interests and leaving others to “make do”. For this reason, on the thirty-first World Day of the Sick, as the whole Church journeys along the synodal path, I invite all of us to reflect on the fact that it is especially through the experience of vulnerability and illness that we can learn to walk together according to the style of God, which is closeness, compassion, and tenderness.

In the Book of the Prophet Ezekiel, the Lord speaks these words that represent one of the high points of God’s Revelation: “I myself will be the shepherd of my sheep, and I will make them lie down, says the Lord God.. I will seek the lost, and I will bring back the strayed, and I will bind up the injured, and I will strengthen the weak […] I will feed them with justice” (34:15-16). Experiences of bewilderment, sickness, and weakness are part of the human journey. Far from excluding us from God’s people, they bring us to the centre of the Lord’s attention, for he is our Father and does not want to lose even one of his children along the way. Let us learn from him, then, how to be a community that truly walks together, capable of resisting the throwaway culture.

The Encyclical Fratelli Tutti encourages us to read anew the parable of the Good Samaritan, which I chose in order to illustrate how we can move from the “dark clouds” of a closed world to “envisaging and engendering an open world” (cf. No. 56). There is a profound link between this parable of Jesus and the many ways in which fraternity is denied in today’s world. In particular, the fact that the man, beaten and robbed, is abandoned on the side of the road represents the condition in which all too many of our brothers and sisters are left at a time when they most need help. It is no longer easy to distinguish the assaults on human life and dignity that arise from natural causes from those caused by injustice and violence. In fact, increasing levels of inequality and the prevailing interests of the few now affect every human environment to the extent that it is difficult to consider any experience as having solely “natural” causes. All suffering takes place in the context of a “culture” and its various contradictions.

Here it is especially important to recognize the condition of loneliness and abandonment. This kind of cruelty can be overcome more easily than any other injustice, because – as the parable tells us – it only takes a moment of our attention, of being moved to compassion within us, in order to eliminate it. Two travellers, considered pious and religious, see the wounded man, yet fail to stop. The third passer-by, however, a Samaritan, a scorned foreigner, is moved with compassion and takes care of that stranger on the road, treating him as a brother. In doing so, without even thinking about it, he makes a difference, he makes the world more fraternal.

Brothers and sisters, we are rarely prepared for illness. Oftentimes, we fail even to admit that we are getting older. Our vulnerability frightens us and the pervasive culture of efficiency pushes us to sweep it under the carpet, leaving no room for our human frailty. In this way, when evil bursts onto the scene and wounds us, we are left stunned. Moreover, others might abandon us at such times. Or, in our own moments of weakness, we may feel that we should abandon others in order to avoid becoming a burden. This is how loneliness sets in, and we can become poisoned by a bitter sense of injustice, as if God himself had abandoned us. Indeed, we may find it hard to remain at peace with the Lord when our relationship with others and with ourselves is damaged. It is crucial, then, even in the midst of illness, that the whole Church measure herself against the Gospel example of the Good Samaritan, in order that she may become a true “field hospital”, for her mission is manifested in acts of care, particularly in the historical circumstances of our time. We are all fragile and vulnerable, and need that compassion which knows how to pause, approach, heal, and raise up. Thus, the plight of the sick is a call that cuts through indifference and slows the pace of those who go on their way as if they had no sisters and brothers.

The World Day of the Sick calls for prayer and closeness towards those who suffer. Yet it also aims to raise the awareness of God’s people, healthcare institutions and civil society with regard to a new way of moving forward together. The above-quoted prophecy of Ezekiel judges harshly the priorities of those who wield economic, cultural, and political power over others: “You eat the fat, you clothe yourselves with the wool, you slaughter the fatlings; but you do not feed the sheep. You have not strengthened the weak, you have not healed the sick, you have not bound up the injured, you have not brought back the strayed, you have not sought the lost, but with force and harshness you have ruled them” (34:3-4). God’s word is always illuminating and timely; not only in what it denounces, but also in what it proposes. Indeed, the conclusion of the parable of the Good Samaritan suggests how the exercise of fraternity, which began as a face-to-face encounter, can be expanded into organized care. The elements of the inn, the innkeeper, the money and the promise to remain informed of the situation (cf. Lk 10:34-35) all point to the commitment of healthcare and social workers, family members and volunteers, through whom good stands up in the face of evil every day, in every part of the world.

These past years of the pandemic have increased our sense of gratitude for those who work each day in the fields of healthcare and research. Yet it is not enough to emerge from such an immense collective tragedy simply by honouring heroes. Covid-19 has strained the great networks of expertise and solidarity, and has exposed the structural limits of existing public welfare systems. Gratitude, then, needs to be matched by actively seeking, in every country, strategies and resources in order to guarantee each person’s fundamental right to basic and decent healthcare.

The Samaritan calls the innkeeper to “take care of him” (Lk LkFratelli Tutti, “The parable shows us how a community can be rebuilt by men and women who identify with the vulnerability of others, who reject the creation of a society of exclusion, and act instead as neighbours, lifting up and rehabilitating the fallen for the sake of the common good” (No. 67). Indeed, “we were created for a fulfilment that can only be found in love. We cannot be indifferent to suffering” (No. 68).

On 11 February 2023, let us turn our thoughts to the Shrine of Lourdes, a prophetic lesson entrusted to the Church for our modern times. It is not only what functions well or those who are productive that matter. Sick people, in fact, are at the centre of God’s people, and the Church advances together with them as a sign of a humanity in which everyone is precious and no one should be discarded or left behind.

To the intercession of Mary, Health of the Sick, I entrust all of you who are ill; you who care for them in your families, or through your work, research and volunteer service; and those of you who are committed to weaving personal, ecclesial, and civic bonds of fraternity. To all, I impart my heartfelt blessing.

Rome, Saint John Lateran, 10 January 2023

FRANCIS

[00044-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

«Sorge für ihn«.

Mitgefühl als synodale Übung der Heilung

Liebe Brüder und Schwestern,

Krankheit ist Teil unserer menschlichen Erfahrung. Aber sie kann unmenschlich werden, wenn sie in Isolation und Verlassenheit gelebt wird, wenn sie nicht von Fürsorge und Mitgefühl begleitet wird. Beim gemeinsamen Wandern ist es normal, dass sich jemand nicht gut fühlt, wegen Müdigkeit oder eines Unfalls auf dem Weg anhalten muss. In diesen Momenten zeigt sich, wie wir unterwegs sind: ob es wirklich ein gemeinsames Gehen ist, oder ob wir zwar auf demselben Weg sind, aber jeder für sich, um seine eigenen Interessen zu verfolgen, und die anderen lässt man „sich durchschlagen“. Daher lade ich euch an diesem XXXI. Welttag der Kranken ein, inmitten eines synodalen Unterwegsseins, darüber nachzudenken, dass wir gerade durch die Erfahrung von Gebrechlichkeit und Krankheit lernen können, gemeinsam nach dem Stil Gottes zu wandeln, der Nähe, Mitgefühl und Zärtlichkeit ist.

Im Buch des Propheten Ezechiel, in einer großen Weissagung, die einen der Höhepunkte der gesamten Offenbarung darstellt, spricht der Herr so: »Ich, ich selber werde meine Schafe weiden und ich, ich selber werde sie ruhen lassen - Spruch Gottes, des Herrn. Das Verlorene werde ich suchen, das Vertriebene werde ich zurückbringen, das Verletzte werde ich verbinden, das Kranke werde ich kräftigen […] Ich werde es weiden durch Rechtsentscheid« (34,15-16). Die Erfahrung des Verlorengehens, der Krankheit und der Schwäche sind ein natürlicher Bestandteil unseres Weges: Sie schließen uns nicht aus dem Volk Gottes aus, im Gegenteil, sie rücken uns in den Mittelpunkt der Aufmerksamkeit des Herrn, der Vater ist und nicht will, dass auch nur eines seiner Kinder auf dem Weg verloren geht. Es geht also darum, von ihm zu lernen, um wirklich eine Gemeinschaft zu sein, die miteinander geht und sich nicht von der Wegwerfkultur anstecken lässt.

Die Enzyklika Fratelli tutti bietet, wie ihr wisst, eine aktuelle Lesart des Gleichnisses vom barmherzigen Samariter an. Ich habe sie als Dreh- und Angelpunkt gewählt, um aus den „Schatten einer abgeschotteten Welt“ herauszutreten und „eine offene Welt zu denken und zu schaffen“ (vgl. Nr. 56). Es besteht in der Tat eine tiefe Verbindung zwischen diesem Gleichnis Jesu und den vielen Formen, in denen die Geschwisterlichkeit heute verleugnet wird. Insbesondere die Tatsache, dass die misshandelte und ausgeraubte Person am Straßenrand verlassen wird, steht für den Zustand, in dem sich zu viele unserer Brüder und Schwestern befinden, wenn sie am meisten Hilfe benötigen. Die Unterscheidung, welche Angriffe auf das Leben und seine Würde natürliche Ursachen haben und welche durch Unrecht und Gewalt verursacht werden, ist nicht einfach. Tatsächlich beeinflussen heute das Ausmaß der Ungleichheiten und die Vorherrschaft der Interessen einiger Weniger jedes menschliche Umfeld so sehr, dass es schwierig ist, jedwede Erfahrung als „naturgegeben“ zu betrachten. Alles Leiden spielt sich in einer „Kultur“ und inmitten ihrer Widersprüche ab.

Wichtig ist hier jedoch, den Zustand der Einsamkeit, des Verlassenseins zu erkennen. Es handelt sich um eine Erbarmungslosigkeit, die noch vor jeder anderen Ungerechtigkeit überwunden werden kann, denn – so erzählt das Gleichnis - alles, was es braucht, um sie zu beseitigen, ist ein Augenblick der Aufmerksamkeit, die innere Bewegung des Mitgefühls. Zwei Passanten, die als religiös gelten, sehen den Verwundeten und bleiben nicht stehen. Der Dritte aber, ein Samariter, ein Verachteter, wird von Mitleid ergriffen, kümmert sich um den Fremden auf dem Weg und behandelt ihn wie einen Bruder. Auf diese Weise verändert er, ohne überhaupt darüber nachzudenken, die Dinge und schafft eine geschwisterlichere Welt.

Brüder und Schwestern, wir sind nie auf die Krankheit vorbereitet; und oft auch nicht darauf, das fortschreitende Alter zuzugeben. Wir fürchten uns vor Verletzlichkeit, und die allgegenwärtige Kultur des Marktes treibt uns dazu an, sie zu leugnen. Für Zerbrechlichkeit gibt es keinen Platz. Und so schmettert uns das Unglück zu Boden, wenn es über uns hereinbricht und uns angreift. Es kann dann vorkommen, dass andere uns im Stich lassen oder dass wir den Eindruck haben, dass wir sie verlassen lassen müssen, um ihnen nicht zur Last zu fallen. So beginnt die Einsamkeit, und wir werden von dem bitteren Gefühl einer Ungerechtigkeit vergiftet, für die sich sogar der Himmel zu verschließen scheint. In der Tat fällt es uns schwer, in Frieden mit Gott zu bleiben, wenn unsere Beziehung zu anderen und zu uns selbst zerrüttet ist. Deshalb ist es so wichtig, dass sich die gesamte Kirche auch im Hinblick auf die Krankheit am evangeliumsgemäßen Beispiel des barmherzigen Samariters misst, um ein wahres „Feldlazarett“ zu werden: Ihre Sendung drückt sich nämlich besonders in den historischen Umständen, die wir durchschreiten, und in der Ausübung der Fürsorge aus. Wir alle sind zerbrechlich und verletzlich; wir alle brauchen die mitfühlende Aufmerksamkeit, die weiß, wie man innehält, sich nähert, heilt und aufrichtet. Der Stand der Kranken ist daher ein Appell, der die Gleichgültigkeit aufbricht und die Schritte derer bremst, die so weitergehen, als hätten sie keine Schwestern und Brüder.

Der Welttag der Kranken lädt nämlich nicht nur zum Gebet und zur Nähe zu den Leidenden ein, sondern will auch das Volk Gottes, die Einrichtungen des Gesundheitswesens und die Zivilgesellschaft für einen neuen gemeinsamen Fortschritt sensibilisieren. Die zu Beginn zitierte Prophetie Ezechiels enthält ein sehr hartes Urteil über die Prioritäten derjenigen, die wirtschaftliche, kulturelle und staatliche Macht über das Volk ausüben: »Das Fett verzehrt ihr und mit der Wolle kleidet ihr euch. Das Mastvieh schlachtet ihr, die Schafe aber weidet ihr nicht. Die Schwachen habt ihr nicht gestärkt, das Kranke habt ihr nicht geheilt, das Verletzte habt ihr nicht verbunden, das Vertriebene habt ihr nicht zurückgeholt, das Verlorene habt ihr nicht gesucht; mit Härte habt ihr sie niedergetreten und mit Gewalt« (34,3-4). Das Wort Gottes ist immer erhellend und zeitgemäß, nicht nur wenn es anprangert, sondern auch mit seinen Anregungen. Der Schluss des Gleichnisses vom barmherzigen Samariter zeigt uns nämlich, wie die praktizierte Geschwisterlichkeit, die mit einer persönlichen Begegnung beginnt, in eine organisierte Fürsorge erweitert werden kann. Die Herberge, der Gastwirt, das Geld, das Versprechen, sich gegenseitig auf dem Laufenden zu halten (vgl. Lk 10,34-35): All dies lässt uns an den Dienst der Priester, die Tätigkeit der im Gesundheits- und Sozialwesen Beschäftigten, das Engagement der Familienangehörigen und der Ehrenamtlichen denken, denen es zu verdanken ist, dass jeden Tag in allen Teilen der Welt das Gute dem Bösen entgegentritt.

Die Jahre der Pandemie haben unsere Empfindung der Dankbarkeit für diejenigen verstärkt, die tagtäglich für Gesundheit und Forschung arbeiten. Aber es genügt nicht, eine so große kollektive Tragödie durch die Ehrung von Helden hinter sich zu lassen. Covid-19 hat dieses große Netz von Kompetenz und Solidarität auf die Probe gestellt und die strukturellen Grenzen der bestehenden Sozialsysteme aufgezeigt. Die Dankbarkeit muss daher damit einhergehen, dass in jedem Land aktiv nach Strategien und Mitteln gesucht wird, um jedem Menschen den Zugang zur Behandlung und das Grundrecht auf Gesundheitsversorgung zu garantieren.

»Sorge für ihn« (Lk 10,35) ist die Bitte des Samariters an den Gastwirt. Jesus richtet diese auch an jeden von uns und schließlich fordert er uns auf: »Geh und handle du genauso«. Wie ich in Fratelli tutti betont habe, »zeigt das Gleichnis auf, mit welchen Initiativen man eine Gemeinschaft erneuern kann, ausgehend von Männern und Frauen, die sich der Zerbrechlichkeit der anderen annehmen. Sie lassen nicht zu, dass eine von Exklusion geprägte Gesellschaft errichtet wird, sondern kommen dem gefallenen Menschen nahe, richten ihn auf und helfen ihm zu laufen, damit das Gute allen zukommt« (Nr. 67). In der Tat: »Wir sind für die Fülle geschaffen, die man nur in der Liebe erlangt. Es ist keine mögliche Option, gleichgültig gegenüber dem Schmerz zu leben« (Nr. 68).

Blicken wir auch am 11. Februar 2023 auf das Heiligtum von Lourdes als eine Prophezeiung, eine Lehre, die der Kirche inmitten der Moderne anvertraut wurde. Es ist nicht nur das etwas wert, was funktioniert, und nicht nur der ist wichtig, der etwas produziert. Die kranken Menschen stehen im Mittelpunkt des Gottesvolkes, das gemeinsam mit ihnen voranschreitet als Prophetie einer Menschheit, in der jeder wertvoll ist und niemand beiseitegeschoben werden darf.

Der Fürsprache Marias, dem Heil der Kranken, vertraue ich jeden von euch Kranken an; sowie euch, die ihr in der Familie, in der Arbeit, in der Forschung und im Ehrenamt Sorge für sie tragt; und euch, die ihr euch dafür einsetzt, persönliche, kirchliche und zivile Bande der Geschwisterlichkeit zu knüpfen. Von Herzen sende ich euch allen meinen Apostolischen Segen.

Rom, Sankt Johannes im Lateran, am 10. Januar 2023.

FRANZISKUS

[00044-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Cuida de él».

La compasión como ejercicio sinodal de sanación

Queridos hermanos y hermanas:

La enfermedad forma parte de nuestra experiencia humana. Pero, si se vive en el aislamiento y en el abandono, si no va acompañada del cuidado y de la compasión, puede llegar a ser inhumana. Cuando caminamos juntos, es normal que alguien se sienta mal, que tenga que detenerse debido al cansancio o por algún contratiempo. Es ahí, en esos momentos, cuando podemos ver cómo estamos caminando: si realmente caminamos juntos, o si vamos por el mismo camino, pero cada uno lo hace por su cuenta, velando por sus propios intereses y dejando que los demás “se las arreglen”. Por eso, en esta XXXI Jornada Mundial del Enfermo, en pleno camino sinodal, los invito a reflexionar sobre el hecho de que, es precisamente a través de la experiencia de la fragilidad y de la enfermedad, como podemos aprender a caminar juntos según el estilo de Dios, que es cercanía, compasión y ternura.

En el libro del profeta Ezequiel, en un gran oráculo que constituye uno de los puntos culminantes de toda la Revelación, el Señor dice así: «Yo mismo apacentaré mis ovejas y las llevaré a descansar —oráculo del Señor—. Buscaré a la oveja perdida, haré volver a la descarriada, vendaré a la herida y curaré a la enferma […]. Yo las apacentaré con justicia» (34,15-16). La experiencia del extravío, de la enfermedad y de la debilidad forman parte de nuestro camino de un modo natural, no nos excluyen del pueblo de Dios; al contrario, nos llevan al centro de la atención del Señor, que es Padre y no quiere perder a ninguno de sus hijos por el camino. Se trata, por tanto, de aprender de Él, para ser verdaderamente una comunidad que camina unida, capaz de no dejarse contagiar por la cultura del descarte.

La Encíclica Fratelli tutti, como ustedes saben, propone una lectura actualizada de la parábola del buen samaritano. La escogí como eje, como punto de inflexión, para poder salir de las “sombras de un mundo cerrado” y “pensar y gestar un mundo abierto” (cf. n. 56). De hecho, existe una conexión profunda entre esta parábola de Jesús y las múltiples formas en las que se niega hoy la fraternidad. En particular, el hecho de que la persona golpeada y despojada sea abandonada al borde del camino, representa la condición en la que se deja a muchos de nuestros hermanos y hermanas cuando más necesitados están de ayuda. No es fácil distinguir cuáles agresiones contra la vida y su dignidad proceden de causas naturales y cuáles, en cambio, provienen de la injusticia y la violencia. En realidad, el nivel de las desigualdades y la prevalencia de los intereses de unos pocos ya afectan a todos los entornos humanos, hasta tal punto que resulta difícil considerar cualquier experiencia como “natural”. Todo sufrimiento tiene lugar en una “cultura” y en medio de sus contradicciones.

Sin embargo, lo importante aquí es reconocer la condición de soledad, de abandono. Se trata de una atrocidad que puede superarse antes que cualquier otra injusticia, porque, como nos dice la parábola, todo lo que se necesita para eliminarla es un momento de atención, el movimiento interior de la compasión. Dos transeúntes, considerados religiosos, ven al herido y no se detienen. El tercero, en cambio, un samaritano, objeto de desprecio, sintió compasión y se hizo cargo de aquel forastero en el camino, tratándolo como a un hermano. Obrando de ese modo, sin siquiera pensarlo, cambió las cosas, generó un mundo más fraterno.

Hermanos, hermanas, nunca estamos preparados para la enfermedad. Y, a menudo, ni siquiera para admitir el avance de la edad. Tenemos miedo a la vulnerabilidad y la cultura omnipresente del mercado nos empuja a negarla. No hay lugar para la fragilidad. Y, de este modo, el mal, cuando irrumpe y nos asalta, nos deja aturdidos. Puede suceder, entonces, que los demás nos abandonen, o que nos parezca que debemos abandonarlos, para no ser una carga para ellos. Así comienza la soledad, y nos envenena el sentimiento amargo de una injusticia, por el que incluso el Cielo parece cerrarse. De hecho, nos cuesta permanecer en paz con Dios, cuando se arruina nuestra relación con los demás y con nosotros mismos. Por eso es tan importante que toda la Iglesia, también en lo que se refiere a la enfermedad, se confronte con el ejemplo evangélico del buen samaritano, para llegar a convertirse en un auténtico “hospital de campaña”. Su misión, sobre todo en las circunstancias históricas que atravesamos, se expresa, de hecho, en el ejercicio del cuidado. Todos somos frágiles y vulnerables; todos necesitamos esa atención compasiva, que sabe detenerse, acercarse, curar y levantar. La situación de los enfermos es, por tanto, una llamada que interrumpe la indiferencia y frena el paso de quienes avanzan como si no tuvieran hermanas y hermanos.

La Jornada Mundial del Enfermo, en efecto, no sólo invita a la oración y a la cercanía con los que sufren. También tiene como objetivo sensibilizar al pueblo de Dios, a las instituciones sanitarias y a la sociedad civil sobre una nueva forma de avanzar juntos. La profecía de Ezequiel, citada al principio, contiene un juicio muy duro acerca de las prioridades de quienes ejercen el poder económico, cultural y de gobierno sobre el pueblo: «Ustedes se alimentan con la leche, se visten con la lana, sacrifican a las ovejas más gordas, y no apacientan el rebaño. No han fortalecido a la oveja débil, no han curado a la enferma, no han vendado a la herida, no han hecho volver a la descarriada, ni han buscado a la que estaba perdida. Al contrario, las han dominado con rigor y crueldad» (34,3-4). La Palabra de Dios es siempre iluminadora y actual. No sólo en su denuncia, sino también en su propuesta. De hecho, la conclusión de la parábola del buen samaritano nos sugiere cómo el ejercicio de la fraternidad, iniciado por un encuentro de tú a tú, puede extenderse a un cuidado organizado. La posada, el posadero, el dinero, la promesa de mantenerse mutuamente informados (cf. Lc 10,34-35): todo esto nos hace pensar en el ministerio de los sacerdotes; en la labor de los agentes sanitarios y sociales; en el compromiso de los familiares y de los voluntarios, gracias a los cuales, cada día, en todas las partes del mundo, el bien se opone al mal.

Los años de la pandemia han aumentado nuestro sentimiento de gratitud hacia quienes trabajan cada día por la salud y la investigación. Pero, de una tragedia colectiva tan grande, no basta salir honrando a unos héroes. El COVID-19 puso a dura prueba esta gran red de capacidades y de solidaridad, y mostró los límites estructurales de los actuales sistemas de bienestar. Por tanto, es necesario que la gratitud vaya acompañada de una búsqueda activa, en cada país, de estrategias y de recursos, para que a todos los seres humanos se les garantice el acceso a la asistencia y el derecho fundamental a la salud.

«Cuida de él» (Lc 10,35) es la recomendación del samaritano al posadero. Jesús nos lo repite también a cada uno de nosotros, y al final nos exhorta: «Anda y haz tú lo mismo». Como subrayé en Fratelli tutti, «la parábola nos muestra con qué iniciativas se puede rehacer una comunidad a partir de hombres y mujeres que hacen propia la fragilidad de los demás, que no dejan que se erija una sociedad de exclusión, sino que se hacen prójimos y levantan y rehabilitan al caído, para que el bien sea común» (n. 67). En realidad, «hemos sido hechos para la plenitud que sólo se alcanza en el amor. No es una opción posible vivir indiferentes ante el dolor» (n. 68).

El 11 de febrero de 2023, miremos también al Santuario de Lourdes como una profecía, una lección que se encomienda a la Iglesia en el corazón de la modernidad. No vale solamente lo que funciona, ni cuentan solamente los que producen. Las personas enfermas están en el centro del pueblo de Dios, que avanza con ellos como profecía de una humanidad en la que todos son valiosos y nadie debe ser descartado.

Encomiendo a la intercesión de María, Salud de los enfermos, a cada uno de ustedes, que se encuentran enfermos; a quienes se encargan de atenderlos —en el ámbito de la familia, con su trabajo, en la investigación o en el voluntariado—; y a quienes están comprometidos en forjar vínculos personales, eclesiales y civiles de fraternidad. A todos les envío cordialmente mi Bendición Apostólica.

Roma, San Juan de Letrán, 10 de enero de 2023

FRANCISCO

[00044-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Trata bem dele!»

A compaixão como exercício sinodal de cura

Queridos irmãos e irmãs!

A doença faz parte da nossa experiência humana. Mas pode tornar-se desumana, se for vivida no isolamento e no abandono, se não for acompanhada pelo desvelo e a compaixão. Ao caminhar juntos, é normal que alguém se sinta mal, tenha de parar pelo cansaço ou por qualquer percalço no percurso. É em tais momentos que se vê como estamos a caminhar: se é verdadeiramente um caminhar juntos, ou se se vai na mesma estrada mas cada um por conta própria, cuidando dos próprios interesses e deixando que os outros «se arranjem». Por isso, neste XXXI Dia Mundial do Doente e em pleno percurso sinodal, convido-vos a refletir sobre o facto de podermos aprender, precisamente através da experiência da fragilidade e da doença, a caminhar juntos segundo o estilo de Deus, que é proximidade, compaixão e ternura.

O livro do profeta Ezequiel oferece-nos um grande oráculo, que constitui um dos pontos culminantes de toda a Revelação, e lá o Senhor fala assim: «Sou Eu que apascentarei as minhas ovelhas, sou Eu quem as fará descansar – oráculo do Senhor Deus. Procurarei aquela que se tinha perdido, reconduzirei a que se tinha tresmalhado; cuidarei a que está ferida e tratarei da que está doente (...). A todas apascentarei com justiça» (34, 15-16). Naturalmente as experiências do extravio, da doença e da fragilidade fazem parte do nosso caminho: não nos excluem do povo de Deus; pelo contrário, colocam-nos no centro da solicitude do Senhor, que é Pai e não quer perder pela estrada nem sequer um dos seus filhos. Trata-se, pois, de aprender com Ele a ser verdadeiramente uma comunidade que caminha em conjunto, capaz de não se deixar contagiar pela cultura do descarte.

Como sabeis, a encíclica Fratelli tutti propõe uma leitura atualizada da parábola do Bom Samaritano (cf. nº 56). Escolhi-a como charneira, como ponto de viragem para se poder sair das «sombras dum mundo fechado» (cap. I) e «pensar e gerar um mundo aberto» (cap. III). Com efeito, há uma profunda conexão entre esta parábola de Jesus e as múltiplas formas em que é negada hoje a fraternidade. De modo particular, no facto de a pessoa espancada e roubada acabar abandonada na estrada, podemos ver representada a condição em que são deixados tantos irmãos e irmãs nossos na hora em que mais precisam de ajuda. Não é fácil distinguir os atentados à vida e à sua dignidade que provêm de causas naturais e, ao invés, aqueles que são provocados por injustiças e violências. Na realidade, o nível das desigualdades e a prevalência dos interesses de poucos já incidem de tal modo sobre cada ambiente humano que é difícil considerar «natural» qualquer experiência. Cada doença realiza-se numa «cultura» por entre as suas contradições.

Entretanto, o que importa aqui é reconhecer a condição de solidão, de abandono. Trata-se duma atrocidade que pode ser superada antes de qualquer outra injustiça, porque para a eliminar – como conta a parábola – basta um momento de atenção, o movimento interior da compaixão. Dois transeuntes, considerados religiosos, veem o ferido e não param. Mas o terceiro, um samaritano, alguém que é objeto de desprezo, deixa-se mover pela compaixão e cuida daquele estranho na estrada, tratando-o como irmão. Procedendo assim, sem pensar sequer, muda as coisas, gera um mundo mais fraterno.

Irmãos, irmãs, nunca estamos preparados para a doença; e muitas vezes nem sequer para admitir a idade avançada. Tememos a vulnerabilidade, e a invasiva cultura do mercado impele-nos a negá-la. Não há espaço para a fragilidade. E assim o mal, quando irrompe e nos ataca, deixa-nos por terra atordoados. Então pode acontecer que os outros nos abandonem, ou nos pareça que devemos abandoná-los a fim de não nos sentirem um peso para eles. Começa assim a solidão, e envenena-nos a sensação amarga duma injustiça, devido à qual até o Céu parece fechar-se-nos. Na realidade, sentimos dificuldade de permanecer em paz com Deus, quando se arruína a relação com os outros e com nós próprios. Por isso mesmo é tão importante, relativamente também à doença, que toda a Igreja se confronte com o exemplo evangélico do bom samaritano, para se tornar um válido «hospital de campanha»: com efeito a sua missão, especialmente nas circunstâncias históricas que atravessamos, exprime-se na prestação de cuidados. Todos somos frágeis e vulneráveis; todos precisamos daquela atenção compassiva que sabe deter-se, aproximar-se, cuidar e levantar. Assim, a condição dos enfermos é um apelo que interrompe a indiferença e abranda o passo de quem avança como se não tivesse irmãs e irmãos.

De facto, o Dia Mundial do Doente não convida apenas à oração e à proximidade com os que sofrem, mas visa ao mesmo tempo sensibilizar o povo de Deus, as instituições de saúde e a sociedade civil para uma nova forma de avançar juntos. A profecia de Ezequiel, já referida atrás, contém um juízo muito duro sobre as prioridades daqueles que exercem, sobre o povo, o poder económico, cultural e governamental: «Vós bebestes o leite, vestistes-vos com a sua lã, matastes as reses mais gordas e não apascentastes as ovelhas. Não tratastes das que eram fracas, não cuidastes da que estava doente, não curastes a que estava ferida; não reconduzistes a transviada; não procurastes a que se tinha perdido, mas a todas tratastes com violência e dureza» (34, 3-4). A Palavra de Deus – não só na denúncia, mas também na proposta – é sempre iluminadora e de hoje. Na realidade, a conclusão da parábola do Bom Samaritano sugere-nos como a prática da fraternidade, que começou por um encontro de indivíduo com indivíduo, se pode alargar para um tratamento organizado. A estalagem, o estalajadeiro, o dinheiro, a promessa de se manterem mutuamente informados (cf. Lc 10, 34-35)… tudo isto faz pensar no ministério de sacerdotes, no trabalho de operadores de saúde e agentes sociais, no empenho de familiares e voluntários, graças aos quais cada dia, em todo o mundo, o bem se opõe ao mal.

Os anos da pandemia aumentaram o nosso sentimento de gratidão por quem diariamente trabalha em prol da saúde e da investigação médica. Mas, ao sair duma tragédia coletiva assim tão grande, não é suficiente o prestar honras aos heróis. A covid-19 pôs à prova esta grande rede de competências e solidariedade e mostrou os limites estruturais dos sistemas de assistência social existentes. Por isso, é necessário que a gratidão seja acompanhada, em cada país, pela busca ativa de estratégias e recursos a fim de serem garantidos a todo o ser humano o acesso aos cuidados médicos e o direito fundamental à saúde.

«Trata bem dele!» (Lc 10, 35): é a recomendação do samaritano ao estalajadeiro. Mas Jesus repete-a igualmente a cada um de nós na exortação conclusiva: «Vai e faz tu também o mesmo». Como evidenciei na encíclica Fratelli tutti, «a parábola mostra-nos as iniciativas com que se pode refazer uma comunidade a partir de homens e mulheres que assumem como própria a fragilidade dos outros, não deixam constituir-se uma sociedade de exclusão, mas fazem-se próximos, levantam e reabilitam o caído, para que o bem seja comum» (nº 67). Efetivamente «fomos criados para a plenitude que só se alcança no amor. Viver indiferentes à dor não é uma opção possível» (nº 68).

E, no dia 11 de fevereiro de 2023, também o Santuário de Lurdes aparece ao nosso olhar como uma profecia, uma lição confiada à Igreja no coração da modernidade. Não tem valor só o que funciona, nem conta só quem produz. As pessoas doentes estão no âmago do povo de Deus, que avança juntamente com eles como profecia duma humanidade onde cada qual é precioso e ninguém deve ser descartado.

À intercessão de Maria, Saúde dos enfermos, confio cada um de vós que estais doentes; vós que cuidais deles em família, com o trabalho, a investigação e o voluntariado; e vós que vos esforçais por tecer laços pessoais, eclesiais e civis de fraternidade. A todos envio de coração a Bênção Apostólica.

Roma – São João de Latrão, 10 de janeiro de 2023.

FRANCISCO

[00044-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Miej o nim staranie”

Współczucie jako synodalna realizacja uzdrowienia

Drodzy bracia i siostry!

Choroba jest częścią naszego ludzkiego doświadczenia. Może jednak stać się czymś nieludzkim, jeśli jest przeżywana w izolacji i opuszczeniu, jeśli nie towarzyszy jej troska i współczucie. Gdy podążamy naprzód wspólnie, czymś normalnym jest to, że ktoś może poczuć się źle, że będzie musiał się zatrzymać z powodu zmęczenia lub jakiegoś zdarzenia po drodze. To właśnie wówczas, w tych chwilach, widać, jak idziemy: czy jest to rzeczywiście podążanie razem, czy też idziemy tą samą drogą, ale każdy na własną rękę, dbając o swoje interesy i pozwalając, aby inni „dali sobie radę”. Dlatego w ten XXXI Światowy Dzień Chorego, w trakcie trwającego procesu synodalnego, zapraszam was do refleksji nad tym, że właśnie poprzez doświadczenie słabości i choroby możemy nauczyć się podążać razem zgodnie ze stylem Boga, który jest bliskością, współczuciem i czułością.

W Księdze Proroka Ezechiela, w wielkiej wyroczni, która stanowi jeden z głównych punktów całego Objawienia, Pan mówi w następujący sposób: „Ja sam będę pasł moje owce i Ja sam będę je układał na legowisko – wyrocznia Pana Boga. Zagubioną odszukam, zabłąkaną sprowadzę z powrotem, skaleczoną opatrzę, chorą umocnię, [...] będę pasł sprawiedliwie” (34, 15-16). Doświadczenie zagubienia, choroby i słabości stanowi oczywiście część naszej drogi: nie wykluczają nas z Ludu Bożego, przeciwnie, wprowadzają nas w centrum uwagi Pana, który jest Ojcem i nie chce stracić po drodze nawet jednego ze swoich dzieci. Chodzi więc o to, by uczyć się od Niego, aby naprawdę być wspólnotą, która podąża razem, zdolną do tego, by nie dać się zarazić kulturą odrzucenia.

Jak wiecie, encyklika Fratelli tutti proponuje zaktualizowane odczytanie przypowieści o dobrym Samarytaninie. Wybrałem ją jako element kluczowy, jako punkt zwrotny, aby móc wyjść z „cienia zamkniętego świata” i „myśleć o stwarzaniu świata otwartego" (por. nr 56). Istnieje bowiem głębokie powiązanie między tą przypowieścią Jezusa a wieloma sposobami, jakimi neguje się dzisiaj braterstwo. W szczególności fakt, że osoba pobita i okradziona zostaje porzucona przy drodze, ukazuje stan, w którym pozostawiono zbyt wielu naszych braci i sióstr w chwili, gdy najbardziej potrzebują pomocy. Nie jest łatwo odróżnić, które ataki na życie i jego godność wynikają z przyczyn naturalnych, a które są spowodowane niesprawiedliwością i przemocą. Istotnie, poziom nierówności i dominacja interesów wąskiego grona osób dotyka obecnie każdego środowiska ludzkiego w takim stopniu, że trudno uznać jakiekolwiek doświadczenie za „naturalne”. Wszelkie cierpienie odbywa się w „kulturze” i pośród jej sprzeczności.

Ważne jest tu jednak rozpoznanie stanu samotności, opuszczenia. Chodzi o okrucieństwo, które można przezwyciężyć wcześniej niż jakąkolwiek inną niesprawiedliwość, ponieważ – jak opowiada przypowieść – do jego wyeliminowania wystarczy chwila uwagi, wewnętrzny ruch współczucia. Dwóch przechodniów, uważanych za osoby religijne, widzi rannego i nie zatrzymuje się. Jednak trzecia, Samarytanin, będący obiektem pogardy, jest poruszony współczuciem i zajmuje się tym nieznajomym przy drodze, traktując go jak brata. Czyniąc to, nawet o tym nie myśląc, zmienia stan rzeczy, stwarza świat bardziej braterski.

Bracia, siostry, nigdy nie jesteśmy gotowi na chorobę. A często nawet do przyznawania się, że jesteśmy coraz starsi. Boimy się bezbronności, a wszechobecna kultura rynkowa popycha nas do tego, by jej zaprzeczać. Dla kruchości nie ma miejsca. A zło, wdzierając się w nasze życie i atakując nas, powala nas nieprzytomnych na ziemię. Może się więc zdarzyć, że inni nas opuszczą, albo że wydaje nam się, iż musimy ich porzucić, aby nie czuć wobec nich ciężaru. Tak zaczyna się samotność i zatruwa nas gorzkie poczucie niesprawiedliwości, dla której nawet Niebo zdaje się zamykać. Rzeczywiście, trudno nam trwać w pokoju z Bogiem, gdy niszczy się nasze relacje z innymi i z samymi sobą. Dlatego tak ważne jest, także w odniesieniu do choroby, aby cały Kościół skonfrontował się z ewangelicznym przykładem dobrego Samarytanina, aby stać się wartościowym „szpitalem polowym”: jego misja bowiem, zwłaszcza w okolicznościach historycznych, które przeżywamy, wyraża się w sprawowaniu opieki. Wszyscy jesteśmy delikatni i wrażliwi; wszyscy potrzebujemy tej współczującej uwagi, która potrafi się zatrzymać, zbliżyć, uzdrowić i podnieść. Sytuacja, w jakiej znajdują się chorzy jest więc apelem, który przerywa obojętność i spowalnia krok tych, którzy idą naprzód, jakby nie mieli sióstr i braci.

Światowy Dzień Chorego nie wzywa bowiem jedynie do modlitwy i bliskości z cierpiącymi; ma również na celu uwrażliwienie Ludu Bożego, instytucji służby zdrowia i społeczeństwa obywatelskiego na nowy sposób wspólnego podążania naprzód. Przytoczone na początku proroctwo Ezechiela zawiera bardzo surowy osąd priorytetów tych, którzy sprawują nad ludźmi władzę ekonomiczną, kulturalną i wykonawczą: „Nakarmiliście się mlekiem, odzialiście się wełną, zabiliście tłuste zwierzęta, jednakże owiec nie paśliście. Słabej nie wzmacnialiście, o zdrowie chorej nie dbaliście, skaleczonej nie opatrywaliście, zabłąkanej nie sprowadziliście z powrotem, zagubionej nie odszukiwaliście, a z przemocą i z okrucieństwem obchodziliście się z nimi” (34, 3-4). Słowo Boże jest zawsze oświecające i aktualne. Nie tylko w oskarżaniu, ale także w tym, co proponuje. Zakończenie przypowieści o dobrym Samarytaninie sugeruje nam bowiem, w jaki sposób realizowanie braterstwa, zapoczątkowane przez spotkanie twarzą w twarz, może być poszerzone na zorganizowaną opiekę. Gospoda, karczmarz, pieniądze, obietnica wzajemnego informowania się o stanie chorego (por. Łk 10, 34-35): to wszystko każe nam myśleć o posłudze kapłanów, pracy personelu służby zdrowia i opieki społecznej, zaangażowaniu członków rodzin i wolontariuszy, dzięki którym każdego dnia, w każdej części świata, dobro przeciwstawia się złu.

Lata pandemii zwiększyły nasze poczucie wdzięczności wobec tych, którzy każdego dnia pracują na rzecz zdrowia i badań. Ale nie wystarczy wyjść z tak wielkiej zbiorowej tragedii poprzez uhonorowanie bohaterów. Covid-19 wystawił na próbę tę wielką sieć naszych umiejętności i solidarności oraz ukazał strukturalne ograniczenia istniejących systemów opieki społecznej. Wdzięczności musi zatem towarzyszyć aktywne poszukiwanie w każdym kraju strategii i środków, aby każdy człowiek miał zagwarantowany dostęp do opieki i podstawowe prawo do zdrowia.

„Miej o nim staranie” (Łk 10, 35) – zaleca gospodarzowi Samarytanin. Jezus powtarza to także każdemu z nas, a na koniec napomina: „Idź, i ty czyń podobnie!”. Jak podkreśliłem we Fratelli tutti, „przypowieść ta ukazuje nam, przy pomocy jakich inicjatyw można odbudować wspólnotę, począwszy od mężczyzn i kobiet, którzy utożsamiają się z kruchością innych, którzy nie pozwalają na budowanie społeczeństwa wykluczenia, ale stają się bliźnimi, podnosząc upadłych i przywracając ich społeczeństwu, aby dobro było wspólne” (n. 67). Istotnie „zostaliśmy stworzeni do pełni, którą można osiągnąć tylko w miłości. Żyć obojętnie w obliczu cierpienia, to nie jeden z możliwych wyborów” (n. 68).

Także 11 lutego 2023 r. patrzymy na sanktuarium w Lourdes jak na proroctwo, lekcję powierzoną Kościołowi w sercu współczesności. Liczy się nie tylko to, co działa i nie tylko ten, kto produkuje. Osoby chore znajdują się w centrum Ludu Bożego, postępując razem z nim jako proroctwo ludzkości, w której każdy jest cenny i nikogo nie wolno odrzucać.

Wstawiennictwu Maryi, Uzdrowieniu Chorych, zawierzam każdego z was, którzy jesteście chorzy; was, którzy opiekujecie się nimi w rodzinie, poprzez pracę, badania naukowe i wolontariat; was, którzy angażujecie się w nawiązywanie osobowych, kościelnych i obywatelskich więzi braterstwa. Wszystkim serdecznie przekazuję moje Apostolskie Błogosławieństwo.

Rzym, u św. Jana na Lateranie, dnia 10 stycznia 2023 roku.

FRANCISZEK

[00044-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي الحادي والثّلاثين للمريض

11 شباط/فبراير 2023

"إِعتَنِ بِأَمرِه"

الشّفقة تدريب للشّفاء بروح السّينودس

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

المرض هو جزء من خبرتنا البشريّة. لكنّه يمكن أن يصير أمرًا لاإنسانيًّا إن تركنا المريض في العزلة والخذلان، وإن لم ترافقه الرّعاية والشّفقة. عندما نسير معًا، من الطّبيعي أن يشعر أحدنا بسوء يصيبه، فيضطّر إلى التّوقّف بسبب التّعب أو بسبب حادث على الطّريق. هناك، في تلك اللّحظات، نرى كيف نسير: هل نسير حقًّا معًا، أم نسير على الطّريق نفسه ولكن كلّ واحدٍ بمفرده، يهتمّ بمصالحه الخاصّة ويترك الآخرين ”يتدبّرون أمورهم“؟ لذلك، في هذا اليوم العالمي الحادي والثّلاثين للمريض، وفي وسط مسيرة سينودسيّة، أدعوكم إلى التّفكير في هذه الحقيقة: أنّنا من خلال خبرة الضّعف والمرض، يمكننا أن نتعلّم أن نسير معًا بحسب أسلوب الله، الذي هو القُرب والشّفقة والحنان.

في سِفرِ حزقيال النّبي، وفي نبوءة كبرى، قِمّةٍ من قمم الوحي، قال الرّبّ الإله: "أَنا أَرْعى خِرافي وأَنا أَربِضُها، يَقولُ السَّيِّدُ الرَّبّ، فأَبحَثُ عن الضَّالَّةِ وأَرُدُّ الشَّارِدَةَ وأَجبُرُ المَكْسورَةَ وأُقَوِّي الضَّعيفَةَ [...] وأَرْعاها بِعَدْل" (34، 15-16). خبرة الضّياع والمرض والضّعف هي جزء طبيعيّ من مسيرتنا: فهي لا تستبعدنا من شعب الله، بل تضعنا في مركز اهتمام الرّبّ الإله، الذي هو أب ولا يريد أن يفقد في الطّريق أيّ أحد من أبنائه. لذلك، علينا أن نتعلّم منه، حتّى نكون حقًا جماعة تسير معًا، وقادرة على ألّا تسمح بأن تؤثّر فينا ثقافة الإقصاء.

الرّسالة البابويّة العامّة ”كلُّنا إخوة - Fratelli Tutti“، كما تعلمون، تقترح علينا قراءة لمثل السّامري الرّحيم، تنطبق على وضعنا الحالي. اخترتُهُ مِثْلَ مِفْصَلٍ، ونُقْطَةَ تَحَوُّلٍ، لكي نكون قادرين على أن نخرج من ”ظِلال عالم مغلق“ ”لنفكّرَ ونخلق عالمًا منفتحًا“ (راجع رقم 56). في الواقع، هناك علاقة عميقة بين مثل يسوع هذا والأساليب الكثيرة التي تُرفَض بها الأخوّة اليوم. خصوصًا، الشّخص الذي تعرّض للضّرب والسّرقة، تمّ تركه مُلقًى على جانب الطّريق. فهو يمثّل الحالة التي فيها يُترَك الكثيرون من إخوتنا وأخواتنا في اللحظة التي يحتاجون فيها كثيرًا إلى المساعدة. ليس من السّهل التّمييز بين الاعتداءات على الحياة والكرامة التي تنجم عن أسباب طبيعيّة، وتلك التي تنجم من المظالم والعنف. في الحقيقة، دَرَجَةُ عدمِ المساواة بين الناس، وتغليب مصالح القِلَّة أصبح يؤثّر على كلّ البيئة البشريّة، إلى حدّ أنّه أصبح من الصّعب أن نقول عن أيّة تجربة إنّها ناجمة عن أسباب طبيعيّة. كلّ معاناة تقع في إطار ”ثقافة“ وبسبب تناقضاتها.

مع ذلك، ما يهمّ هنا، هو الاعتراف بوجود حالات من العزلة والخذلان. إنّه أمرٌ خطير جدًّا يمكن أن نتجاوزه قبل أيّ ظُلم آخر، لأنّه - كما قال المثل – لكي نقضي عليها يكفي لحظة من الاهتمام، تكفي حركة في داخل النفس، الرّحمة. مرَّ اثنان من الذين كانوا يُعتبرون متديّنَين، رَأَيَا الجريح ولم يتوقّفا. بينما، الثّالث، وهو سامري، وموضوع ازدراء، حرّكته الشّفقة واعتنى بذلك الغريب على جانب الطّريق، وعامله معاملة الأخ. بهذه الطّريقة، حتّى بدون أن يفكر في الأمر، غيّر الأمور، وخلق عالمًا أكثر أخُوَّة.

أيّها الإخوة والأخوات، نحن لسنا مستعدّين دائمًا للمرض. وفي كثير من الأحيان لسنا مستعدّين حتّى لأن نعترف بالتقدّم في العمر. نخاف من الضّعف، وتدفعنا ثقافة السُّوق المنتشرة إلى إنكاره. لا يوجد مكانٌ للضّعف. والأمر نفسه مع الشّرّ، عندما يداهمنا ويسيطر علينا، يتركنا مُرتعدين على الأرض. قد يحدث، إذاك، أن يتخلّى عنّا الآخرون، أو يبدو لنا أنّه علينا نحن أن نتخلّى عنهم، حتّى لا نشعر بأنفسنا عبئًا عليهم. هكذا تبدأ الوَحدة، ويُسمّمنا الإحساس المُرّ بالظلم، يبدو لنا معه أنّ السّماء نفسها أُغلِقَت في وجهنا. ونجتهد لنبقى في سلام مع الله، بينما ندمّر علاقاتنا مع الآخرين ومع أنفسنا. لهذا، من المهمّ أيضًا في ما يخصّ المرض، أن تنظر الكنيسة كلّها إلى نفسها بالمقارنة مع المَثَلِ الإنجيليّ، مَثَلِ السّامري الرّحيم، لكي تصير ”مستشفىً ميدانيًّا“ صالحًا: في الواقع، إنّها تعبّر عن رسالتها في ممارسة الرّعاية، لا سيّما في الظّروف التّاريخيّة التي نمرّ بها. كلّنا ضعفاء، وكلّنا بحاجة إلى هذا الاهتمام الرّحيم الذي يعرف كيف يتوقّف، ويقترب، ويشفي، ويُقيم. لذلك، حالة المرضى هي نداء يُوقف اللامبالاة ويستوقف الذين يتقدّمون وكأنّ ليس لهم إخوة وأخوات.

اليوم العالمي للمريض لا يدعو فقط إلى الصّلاة وإلى التقرّب من المتألّمين، بل يهدف، في الوقت نفسه، إلى توعية شعب الله، والمؤسّسات الصحيّة والمجتمع المدني لتسير في طريقة جديدة للتقدّم معًا. في نبوءة حزقيال التي ذكرناها في البداية، حكمٌ قاسٍ جدًّا على أولويّات الذين يمارسون سلطة اقتصاديّة وثقافيّة وحكوميّة على الشّعب: "إِنَّكم تَأكُلونَ الأَلْبانَ وتَلبَسونَ الصُّوفَ وتَذبَحونَ السَّمين، لكِنَّكم لا تَرعَونَ الخِراف. الضِّعافُ لم تُقَوُّوها والمَريضَةُ لم تُداوُوها والمَكْسورَةُ لم تَجبُروها والشَّارِدَةُ لم تَرُدُّوها والضَّالَةُ لم تَبحَثوا عنها، وإِنَّما تَسَلَّطتُم علَيها بِقَسوَةٍ وقَهْر" (34، 3-4). كلمة الله مُنيرة ومُعاصرة دائمًا. ليس فقط في التّنديد، ولكن أيضًا في تقديم الاقتراح. في الواقع، تقترح علينا خاتمة مثل السّامري الرّحيم كيف يمكن ممارسة الأخوّة، تبدأ بلقاءٍ بين اثنين، ثمّ تتوسّع وتصير رعاية منظّمة. الفندق، وصاحب الفندق، والنّقود، والوعد في أن نبقى على معرفة متبادلة بكلّ التّفاصيل (راجع لوقا 10، 34-35): كلّ هذا يجب أن يُفكَّر فيه، في خدمة الكهنة، وفي عمل موظفي الصّحّة والعمال الاجتماعيّين، والتزام الأقارب والمتطوّعين الذين بفضلهم كلّ يوم، وفي كلّ أنحاء العالم، الخير يقاوم الشّرّ.

زادت سنوات الجائحة من مشاعر الشّكر الواجبة للذين يعملون كلّ يوم في مجال الصّحّة والبحث العلمي. لكن، لا يكفِي أن نخرج من مأساة جماعيّة كبيرة فقط بتكريم الأبطال. وَضَعَ كوفيد-19 شبكة المهارات والتّضامن الكبيرة هذه أمام اختبار قاسٍ، وأظهر الحدود الهيكليّة لأنظمة الرّفاه الحاليّة. لذلك، مع الشّكر يجب أن يزداد البحث النَّشِط، في كلّ بلد، عن الاستراتيجيّات والموارد، حتّى يُضمَنَ لكلّ إنسان الوصول إلى العلاج وحقُه الأساسيّ في الصّحّة.

"إِعتَنِ بِأَمرِه" (لوقا 10، 35) هي وصيّة السّامري لصاحب الفندق. يوجِّهُها يسوع من جديد لكلّ واحدٍ منّا، وفي النّهاية يحثّنا قائلًا: "إِذْهَبْ فٱعمَلْ أَنتَ أَيضًا مِثْلَ ذلك". كما أكّدتُ في الرّسالة العامّة كلّنا إخوة (Fratelli Tutti)، "يوضّح لنا المَثل ما هي المبادرات التي يمكن من خلالها إعادة بناء المجتمع، انطلاقًا من رجال ونساء يتبنّون ضعف الآخرين، ولا يسمحون ببناء مجتمعٍ يقوم على الاستبعاد، بل يُظهِرون قُربَهم من الذي يسقط ويقيمونه ويعيدون تأهيله، حتّى يكون الخير مشتركًا" (رقم 67). "خُلِقنا بُغيَةَ الكمال والامتلاء الذي لا نتوصّل إليه إلّا بالمحبّة. أمّا العيش بغير مبالاة إزاء الألم فليس خيارًا ممكنًا" (رقم 68).

في 11 شباط/فبراير 2023 أيضًا، لننظر إلى مزار سيّدة لُورد مِثل نظرنا إلى نبوءة، ودرس مُوكَل إلى الكنيسة في قلب العالم الحديث. ليس المهم الذين يعملون فقط، ولا الذين ينتجون. المرضى هُم في وسط شعب الله، الذي يتقدّم معهم مثل نبوءة عن إنسانيّة، كلُّ واحدٍ فيها عزيز ولا يُقصى عنها أحد.

إلى شفاعة مريم، شفاء المرضى، أُوكل كلّ واحدٍ منكم، أنتم المرضى، وأنتم الذين تهتمّون وتعتنون بهم في العائلة وفي أماكن العمل والبحث العلمي والعمل التّطوّعي، وأنتم الذين تلتزمون بنسج روابط الأخوّة الشّخصيّة والكنسيّة والمدنيّة. أُرسل إلى الجميع من كلّ قلبي بركتي الرسوليّة.

روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، يوم 10 كانون الثّاني/يناير 2023.

[00044-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0024-XX.02]