Dieci ore filate di formali e assai cortesi «consultazioni» con tutti i gruppi di opposizione, ma su quella che la premier definisce solenne «la madre di tutte le riforme» tutti giocano ancora a carte coperte.
A cominciare da Giorgia Meloni, che celebra il «cantiere ormai aperto» ma nei colloqui di martedì non si è sbilanciata sul progetto concreto che intende perseguire. Certo, c`è l`obiettivo di «dare stabilità» ai governi e «rafforzarne» l`azione, attraverso «il voto dei cittadini». Ma chi o cosa debbano votare ancora non è chiaro: un presidente o un premier, una squadra o «un uomo (o donna) solo al comando», un modello francese o piuttosto americano, Westminster o piuttosto (come paventa qualcuno a sinistra) Budapest? Si vedrà, anche perché se il centrosinistra è (come sempre) diviso, anche la maggioranza ondeggia e scricchiola, tra le ansiose bizze della Lega e malumori per una partita di cui Palazzo Chigi sembra voler assumere tutta la regia.
Con l`incubo dei precedenti fallimenti a gettare ombre sul percorso: perché certo il centrodestra ha i numeri per far da solo, se restasse compatto, e addirittura per allargarsi se da Terzo Polo, Autonomie e gruppo misto arriveranno i voti, ad esempio sul modello del premierato. Ma non ha i numeri per raggiungere i due terzi delle Camere ed evitare il referendum finale, che – nelle speranze degli avversari – può diventare la trappola in cui far cadere Giorgia Meloni. Per evitarlo servono 267 deputati (il centrodestra ne conta 238) e 137 senatori (il centrodestra ne conta 116): una quota non facile da raggiungere, anche se Iv e Azione votassero compatti con la maggioranza. Sul modello presidenzialista non ci sarebbero chance, visto il niet di Calenda e Renzi. Sul premierato i numeri sarebbero più nutriti, ma è la Lega a resistere. Il rebus insomma è ancora tutto da risolvere, e non è chiaro quanto appassioni il famoso popolo che tanto si vuol coinvolgere.
Per evitare le accuse di «aventinismo» o di conservatorismo istituzionale, il Pd si affretta a mettere sul tavolo un proprio pacchetto di riforme, in testa quella della legge elettorale (con l`abolizione delle liste bloccate) e dell`articolo 49 con «nuove regole per la selezione della classe dirigente dei partiti», spiega Alessandro Alfieri, l`esponente riformista cui Elly Schlein ha affidato il dossier, e che riconosce su quest`ultimo tema «una importante apertura della premier». La segretaria dem deve al contempo dare un segno di disponibilità al dialogo, per tenere unito il proprio partito, ma anche di fermezza sui «paletti», cominciare dal no all`elezione diretta di presidente o premier e dall`altolà all`autonomia differenziata.
Un modo per non alienarsi la sinistra pronta alle barricate in difesa della Costituzione, per non farsi scavalcare dai Cinque Stelle e anche per cercare di insinuare un cuneo nel centrodestra, che sul tema appare tutt`altro che compatto. Intanto dal centrosinistra si solleva l`allarme contro una maggioranza che vuole «fare da sola» sulla riforma della Costituzione. «È strano – denuncia anche il moderato Pierferdinando Casini – che si inizi un dibattito dicendo che si invitano tutti a un tavolo, ma se non ci stanno si va avanti lo stesso». La Costituzione, avverte, «è un bene indisponibile».
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