Il punto è sempre il solito: quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.
Poi che stolto faccia lo stolto per comodo, perché a volte passare per matti è più conveniente, è un altro paio di maniche.
Un incipit utile per introdurre e commentare la discussione sul rinnovo del debito, che naturalmente sta tenendo banco.
L’argomento principale dei “pro debito” è che non rinnovarlo avrebbe mandato il Paese in default.
Vero, verissimo. E infatti il problema non è questo. Appare evidente che se non ci sono i soldi per ripagare il prestito, esso va rinviato più in là.
E per farlo, per ottenere più tempo, chi i soldi li ha prestati, chiede i tassi che reputa maggiormente congrui.
Il medesimo discorso vale per chi punta il dito sull’ammontare degli interessi stessi, considerati (giustamente) altissimi.
E che cosa pensavate? Con tutti i rialzi degli ultimi mesi, dalla Fed alla Bce, qualcuno credeva di pagare meno?
Così come i mutui aumentano per le famiglie, anche per gli Stati gli interessi si alzano.
La colpa non è di Gatti, ma della congiuntura mondiale, dalla guerra a tutto il resto.
Aggiungo che il Segretario alle Finanze ha fatto un ottimo lavoro nella rinegoziazione.
Ma, ancora una volta, il punto non è questo.
La discussione dovrebbe concentrarsi su ben altro.
Intanto sulla necessità in principio di contrarre il debito.
In secondo luogo, sulla trasparenza nelle scelte, sulla condivisione. In una parola: sul metodo utilizzato da governo e maggioranza.
Approfondiamo, o almeno proviamoci, questi due aspetti.
Sulla necessità del debito potremmo stare a scrivere e discutere per ore.
Esistono varie scuole di pensiero sul tema. Personalmente non sono a prescindere “nemico” del debito, al contrario concordo con chi afferma – mi scuso per la modalità semplicistica con cui esprimo il concetto– che per fare soldi, ci vogliono i soldi. Declinandolo al caso concreto, per realizzare riforme e infrastrutture, servono i fondi.
Ecco, il problema sta proprio qui. A che cosa sono serviti quei milioni di euro? Dove sono stati spesi sino ad oggi? Per fare cosa? Qual è la road map delle cose da fare? Dove sta il progetto Paese?
Qualcuno mi risponderà che tanto è stato fatto e il resto è in cantiere.
Bene, benissimo. Detto che in parecchi, a cominciare dai sindacati, avrebbero da ridire, arriviamo al secondo punto.
Il metodo. La maggioranza partiva da 44 Consiglieri e ci si aspettava non solo riforme efficaci a trasformare la Repubblica dalle fondamenta. Ma anche più trasparenza e condivisione in scelte strategiche capaci di condizionare per sempre il presente e il futuro della Repubblica.
Ebbene cambiano i governi, cambiano i colori, gli schieramenti, i nomi del Consiglieri, dei Segretari, ma inevitabilmente chi arriva a Palazzo sembra subire una mutazione genetica, che lo fa diventare completamente diverso da quando magari stava all’opposizione.
Vale per tutti, nessuno escluso.
Così chi si trovava qualche mese prima a sbottare perché l’esecutivo di turno procedeva a suon di decreti, senza ascoltare opposizioni e parti sociali, ebbene oggi fa la stessa identica cosa.
Non se ne esce e probabilmente non se ne uscirà neppure con la prossima, ormai imminente, legislatura.
Restano i fatti, coi quali fare i conti.
Ed essi parlano, per chiudere il ragionamento e tirare le fila, di tanti soldi da restituire a tassi particolarmente alti, e la necessità urgente e non rinviabile di utilizzare quelle somme non per elargire stipendi e consulenze, quanto piuttosto per mutare, ritoccare e correggere i connotati del Monte.
Si devono costruire ora le basi per il rilancio di San Marino, seguendo alla lettera un programma condiviso con le opposizioni, le parti sociali, le categorie, gli stakeholder e con chi occuperà la stanza dei bottoni nel prossimo esecutivo e maggioranza, che dovrà essere non solo ampia nei numeri, ma soprattutto unita nelle idee.
David Oddone
La Serenissima