Alla fine ce l’hanno fatta. Dopo oltre due settimane di stallo, i deputati del Partito repubblicano sono riusciti a eleggere il nuovo Speaker della Camera dei rappresentanti: si tratta di Mike Johnson, che ha conquistato lo scranno con 220 voti contro 209. “La democrazia a volte è complicata”, ha dichiarato il cinquantaseiesimo Speaker della Camera Usa. “La maggioranza repubblicana della Camera è unita”, ha aggiunto.
Questa elezione è avvenuta a seguito di una fase piuttosto tumultuosa. Lo scorso 3 ottobre, l’allora Speaker, Kevin McCarthy, era stato silurato in conseguenza di una mozione di destituzione, avanzata da un deputato del suo stesso partito, Matt Gaetz: la prima volta nella storia americana che uno Speaker è stato estromesso. A essere fatale per McCarthy fu una fronda di otto repubblicani che votò a favore del suo siluramento. Il processo per succedergli non è stato semplice. Nelle scorse settimane sono infatti finiti bruciati ben tre candidati: Steve Scalise, Jim Jordan e Tom Emmer. Scalise ha perso perché considerato dai conservatori troppo vicino all’establishment; Jordan si è ritrovato azzoppato a causa della vendetta di alcuni sostenitori di Scalise; Emmer, infine, ha dovuto lasciare dopo che Donald Trump lo aveva accusato di essere un finto repubblicano. Qualche deputato aveva inoltre avanzato l’idea di proporre la poltrona allo stesso Trump: un’ipotesi poi non concretizzatasi. Alla fine, per sbloccare lo stallo, è emerso il nome di Johnson: un nome poco conosciuto che – secondo The Hill – non ha “nessun grande nemico ed è generalmente conosciuto come un bravo ragazzo”.
Deputato per lo Stato della Louisiana dal 2017, Johnson ha ricoperto la carica di vicepresidente della Conferenza repubblicana alla Camera dal 3 gennaio scorso. Si tratta di un profilo piuttosto conservatore e assai vicino a Trump. Ha spalleggiato l’allora presidente americano nella questione Russiagate, sostenendo inoltre la sua politica migratoria e votando a favore della sua riforma fiscale nel 2017. Fu inoltre tra i 147 parlamentari repubblicani che, nel gennaio 2021, votarono contro la certificazione dei voti elettorali a favore di Joe Biden.
Le incognite che si intravedono sul futuro di Johnson sono due. La prima: riuscirà a federare il gruppo repubblicano alla Camera (che, ricordiamolo, può contare su pochi voti di maggioranza)? La seconda: riuscirà ad affrontare la fatidica data del 17 novembre? Quel giorno rappresenta infatti la deadline per trovare un accordo parlamentare volto a finanziare il governo: se l’accordo non verrà raggiunto, scatterà lo shutdown (il blocco, cioè, delle attività federali considerate non essenziali). Ricordiamo che, a inizio ottobre, McCarthy è stato contestato dalla fronda repubblicana proprio per aver raggiunto un’intesa che evitava lo shutdown: un’intesa che i suoi oppositori interni consideravano troppo arrendevole nei confronti dei democratici. Il destino politico di Johnson è quindi denso di nubi. Eppure chissà: magari questo semisconosciuto deputato potrebbe riservare delle inattese (e gradite) sorprese.