L'accoltellamento in provincia di Milano della professoressa Elisabetta C., 51 anni, da parte di un alunno di 16, è il caso estremo e intollerabile del drammatico scollamento tra insegnanti e studenti, adulti e adolescenti, società e scuola superiore. È come se non parlassimo più la stessa lingua. I docenti, dalla loro parte, sono vittime di un crollo di reputazione senza precedenti in Italia. Ragazze e ragazzi, invece, di una perdita di ascolto che ci riporta indietro di oltre mezzo secolo. Il primo anno scolastico completo dopo la pandemia si conclude nel peggiore dei modi. Possiamo dare la colpa alle famiglie che si intromettono nei giudizi, al governo precedente o a quello attuale secondo i punti di vista, alla svogliatezza dei giovani oppure alla presunta impreparazione degli insegnanti. Finito lo scaricabarile, però, fermiamoci e riflettiamo.
Le parole di Michele Raffaeli, dirigente del liceo per le scienze applicate “Emilio Alessandrini” dove è avvenuta l'aggressione, dimostrano che l'istituto di Abbiategrasso aveva inquadrato il disagio del loro studente e lo stava affrontando. Tanto che erano stati convocati i genitori. Le indagini dei carabinieri ricostruiranno i retroscena del ferimento. Ma il disagio è molto diffuso tra i ragazzi ovunque, anche se non sfocia in gesti di violenza. Così come lo è tra i docenti italiani che, a giudicare dall'alta percentuale di insufficienze in alcune scuole, non sanno più rimediare al loro insuccesso di insegnanti.
Lo stress dopo la pandemia
È come se fossero assaliti dall'ansia di prestazione e da una continua frustrazione. Capita sempre più spesso di sentire ragazzi che ammettono di prendere tranquillanti la sera prima di una verifica o di un'interrogazione. Già a quindici, sedici anni non possono farne a meno. E anche di professoresse e professori che nascondono le loro difficoltà accusando gli studenti di non saper studiare e affidandosi scrupolosamente alla media aritmetica del voto, senza particolare attenzione alla complessità della persona. Per tutti loro è come se quasi due anni persi con la pandemia, le lezioni da casa, la solitudine e la paura non fossero mai esistiti. Ma che scuola è la nostra, un ring a punti? Possibile che non si sia più capaci di dialogare in classe, di applicare metodi severi ma giusti, di insegnare e imparare divertendosi?
Vogliamo una scuola esclusiva che promuova solo i potenziali premi Nobel e massacri tutto il resto con bocciature ed esami a settembre? Oppure una scuola che metta a disposizione dei futuri premi Nobel il meglio dell'educazione, ma non dimentichi tutti gli altri adolescenti che costituiscono la parte più corposa e altrettanto indispensabile della società? Una scuola che punti soltanto ad avere super laureati all'Università Bocconi oppure che sia anche in grado di formare validi artigiani, operai, agricoltori, commercianti con o senza laurea? Cioè persone mature, complete. E magari anche felici.
Purtroppo, troppo spesso, stiamo confondendo le competenze richieste con la competizione. La scuola è infatti diventata l'immagine del mondo del lavoro giovanile. Quel mondo sfruttato e frustrato che Elisa Esposito, una delle giovanissime tiktoker (tra le meglio pagate) del momento, ha insultato con queste parole: "Se guadagnate 1.300 euro al mese la colpa è vostra". Quando, per molti, già milletrecento euro sono un orizzonte inarrivabile. Poi magari li vedi in Emilia Romagna a spalare fango dalle case. Ovviamente gratis.
La gara per il primo posto
Bisogna davvero fermarsi un attimo a riflettere. Anche su certe classifiche che premiano le scuole superiori se bocciano di più. Se hanno test d'ingresso ultra selettivi. Se sono più competitive. Così che la complessità dell'adolescenza e le diverse difficoltà tra insegnare in centro città o nella provincia multietnica si riducano a un asettico indice statistico. Migliore è la posizione, maggiore è il numero di iscritti, più alto è il prestigio del corpo insegnanti. E magari l'entità del budget annuale.
Anche il liceo Alessandrini di Abbiategrasso ha il suo punteggio nella classifica più famosa: 60.69/100, con il 37 per cento degli studenti che non si iscrivono all'università o non superano il primo anno, contro la media regionale del 22 per cento. Non è certo tra i primi in Lombardia. Ma sono numeri che hanno ancora senso? Quanto vale il punteggio di un'insegnante che ha rischiato la vita nel fare il suo lavoro? E quanto l'obiettivo di recuperare ora un adolescente, forse rimasto fin troppo solo nelle sue paranoie? Ecco, se vogliamo adattare la scuola alla rivoluzione digitale che ci circonda e ai suoi nuovi linguaggi, aboliamo per qualche tempo le gare innescate da questo genere di classifiche. E non parliamo più di migliori e peggiori, ma di ragazzi e ragazze in una scuola che sia davvero meritoria per tutti.
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