Il peggior mese dal marzo 2020, quando è scoppiata la pandemia di Covid che negli ultimi anni ha sconvolto le nostre vite. E la peggior striscia trimestrale negativa dal 2008, epoca del collasso finanziario globale detonato con la crisi di Lehman Brothers. Se queste sono i punti di riferimento, c'è poco da star sereni nel guardare alla performance di Wall Street di settembre.
Un settembre andata in archivio con triplice segno "meno": i tre indici di riferimento hanno chiuso in passivo la settimana, il mese e il trimestre. Nei primi nove mesi del 2022, la Borsa di New York ha subito tre ribassi trimestrali consecutivi, la serie di perdite più lunga per S&P 500 e Nasdaq dalla Grande Recessione. Invece, per il Dow Jones bisogna tornare indietro al 2015 per trovare una peggiore serie di perdite trimestrali. Venerdì, il Dow Jones è sceso dell'1,70% a 28.725,51 punti, il Nasdaq ha perso l'1,51% a 10.575,62 punti e l'indice S&P 500 ha ceduto l'1,48% a 3.588,70 punti. Per lo S&P il bilancio trimestrale tra giugno e settembre è così precipitato al -5,3%. L'indice tecnologico si è invece portato ai minimi da luglio 2020, giù di oltre il 4% nel trimestre.
Il problema dei mercati è che la Fed non molla di un centimetro sull'inflazione. Ieri il dato Pce, uno di quelli maggiormente monitorati a Washington per capire come si muovo in prezzi, ha dato ancora segnali di forza superiori alle attese. "Ci vorrà ancora tempo" perchè la stretta monetaria avviata dalle banche centrali possa portare alla vittoria nella lotta contro l'inflazione, ha avvertito la vicepresidente della Fed, Lael Brainard, secondo cui il costo del denaro dovrà restare alto "per qualche tempo" anche dopo che i prezzi al consumo cominceranno a scendere "ed essere sicuri che l'inflazione stia tornando al suo obiettivo". Lainard, che parlava a una conferenza a New York, ha anche aggiunto che "l'inflazione è molto alta negli Stati Uniti e all'estero e il rischio di ulteriori shock inflazionistici non può essere escluso".
"Il mercato sta realizzando che l'economia potenzialmente rallenterà rapidamente, ma la Fed potrebbe non far nulla per impedirlo", ha spiegato al Financial Times Peter Tchir, a capo della strategia macro di Academy Securities. A questo si aggiungono sempre nuovi grattacapi, che in Europa corrispondono alla crisi energetica e allo Tsunami che ha investito i mercati del Regno Unito dopo l'avventata decisione della premier Truss di lanciare un piano di stimolo fiscale che - a detta degli investitori - mette a rischio i conti pubblici: "Con la volatilità sui Gilts (i titoli di Stato britannici, ndr) e la liquidità che si sta deteriorando, sempre più investitori sono agitati al potenziale ritracciamento accelerato dei prezzi di azioni e obbligazioni", ha aggiunto Tchir.
Luca Riboldi, chief investment officer di Banor Sim, in una nota di venerdì spiegava che "lo scopo della Fed è quello di mandare l’economia Usa in recessione. Non lo hanno detto in modo esplicito, ma il senso è quello", ragione per cui "opinione condivisa tra gli operatori è che lo scenario recessivo sia quello più probabile". Ma non è tutto: per cetrare gli obiettivi di raffredamento dell'inflazione serve che "la recessione sia abbastanza profonda da abbattere la domanda aggregata con ripercussioni sui prezzi dei prodotti, dei beni e dei servizi. Questa fase è quella più delicata. Non si assisterà ad un processo lineare. Alcuni beni e servizi subiranno un calo piuttosto veloce. Si pensi ai prodotti alimentari, ai capi di abbigliamento e ai prodotti per la casa. Altri servizi quali i costi dei viaggi, ad esempio, subiranno storni dei prezzi solo in presenza di vistosi storni dei costi dell’energia, del carburante in primis. C’è poi il tema degli affitti, che, al contrario, richiederà ancora tempo per dare segnali di storno e pesa ancora molto negli indici dei Cpi (consumer price inflation). Ma prima o poi si raggiungerà un equilibrio. La forza del dollaro sta dando una grossa mano alla Fed nel raggiungimento del suo scopo. Un dollaro forte, sempre più forte, rende sempre più cheap i prezzi dei beni importati. Di fatto aiuta ad importare deflazione in Usa. Questo si traduce in minori prezzi al consumo".
Se da una parte dell'Atlantico c'è dunque una Fed che va dritta per la sua strada di volontaria penalizzazione dell'economia Usa, da questa parte la tensione sul Regno Unito resta palpabile, tanto che Standard & Poor's Global Ratings ha peggiorato a "negative" da "stabili" le prospettive sul rating 'AA' della Corona. Il quadro aggiornato per Londra "è soggetto a ulteriori rischi", scrive S&P, rimarcando che a seguito del programma di tagli alle tasse annunciato dal nuovo esecutivo il 23 settembre "stimiamo che il deficit cresca a una media del 2,6% l'anno fino al 2025, con il debito che proseguirà su una traiettoria ascendente contrariamente alle nostre precedenti attese di un calo in percentuale del Pil a partire dal 2023". La BoE è intervenuta sul mercato per raffreddare le tensioni, l'effetto c'è stato ma la seduta di Wall Street di venerdì dimostra che le preoccupazioni sono ben radicate.
Senza dimenticare che l'inflazione morde anche il Vecchio continente. "A settembre 2022, il tasso d’inflazione è salito al 10,0%, dal 9,1% del mese precedente. Come nei mesi precedenti, i prezzi dell'energia sono il motore principale (+40,8% a settembre). Tuttavia, anche l'aumento dell'11,8% dei prezzi dei generi alimentari sta avendo un impatto crescente, in particolare sulle fasce di reddito più basse", ha scritto Ulrike Kastens, Economist Europe di Dws commentando gli ultimi dati. "Inoltre, i prezzi dei beni di consumo durevoli hanno continuato a crescere (+5,6%), il che si riflette anche in un nuovo aumento del tasso core, passato dal 4,3% di agosto al 4,8% di settembre. Questo dato sarà monitorato attentamente dalla Bce, poiché la tendenza dei prezzi continua ad ampliarsi. Gli indicatori anticipatori, come i prezzi alla produzione e le indagini sull'andamento dei prezzi, segnalano che la fine non è ancora in vista". La Bce tiene dritta la barra sulle strette monetarie, anche se il governatore Ignazio Visco contesta il cieco inseguimento della Fed: le differenze tra l'economia degli Usa e quella dell'Eurozona "suggeriscono anche che ipotizzare che la Bce segua ciecamente la Riserva federale nei prossimi mesi potrebbe essere un grave errore", ha detto il numero uno della Banca d'Italia.
L'insieme delle tensioni, oltre che sui mercati azionari e obbligazionari, sta presentando il conto sul fronte valutario, dove si è scatenata una guerra al contrario che porta tutti a cercare di difendersi dal super-dollaro. Stiamo andando verso una crisi valutaria? "Ci siamo già - dice Amundi - Attualmente stiamo raggiungendo livelli che non si vedevano da decenni. La normalizzazione della politica monetaria globale viene attuata dalle banche centrali con tempistiche e velocità diverse, il che implica un aumento della volatilità del forex. Inoltre, il forex è un mercato in cui sono in gioco anche una serie di diversi fattori, tra cui l'attuale situazione geopolitica, un rallentamento del commercio globale e, potenzialmente, un ribilanciamento delle riserve valutarie".