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Addio a Enzo Galetti il tipografo musicista campione del jazz

Per ventidue anni fu linotipista alla Gazzetta di Mantova. Fece parte del mitico sestetto che vinse la Coppa nel ’58

È stato uno degli ultimi linotipisti della Gazzetta di Mantova, ma per gli amanti delle sette note sarà sempre Gillespie, un omaggio oltre che alla sua passione per il jazz alla sua bravura nel proporre quella musica fatta di improvvisazione, tecnica e sentimento. Enzo Galetti, 93 anni, ha metaforicamente suonato il suo ultimo pezzo sabato notte, quando se n’è andato improvvisamente. Un velo di tristezza, alla notizia, è calato sul volto dei tanti che avevano apprezzato il suo virtuosismo con la tromba, il trombone e il flicorno e lo avevano applaudito nelle tante esibizioni con il mitico Sestetto jazz di Mantova che nel 1958 si aggiudicò la prestigiosa Coppa del Jazz, sezione non professionisti. Da giovanissimo aveva cominciato ad amare il jazz tradizionale; poi nel dopoguerra aveva scoperto quello moderno. «Con Roberto Chiozzini, pasticcere, al sax – ricorda Giorgio Signoretti del circolo del jazz di Mantova – costituiva una coppia straordinaria. Insieme, negli anni ’70, hanno entusiasmato noi giovani facendoci innamorare di una musica che non era nostra, e hanno accettato il nostro punto di vista: suonare musiche che non erano le loro per realizzare una meravigliosa fusione generazionale».

Molti i giovani che sono cresciuti alla loro scuola informale, quell’accademia del jazz che aveva come sede la pasticceria Chiozzini. «L’ultimo che Galetti e Chiozzini hanno fatto crescere è stato Mauro Negri – dice Signoretti – il cui modo di insegnare al Conservatorio ricorda quello dei due grandi vecchi». Enzo Galetti lascia la moglie Maria Rosa, i figli Anna e Roberto, entrambi sposati, e i nipoti. I funerali si svolgeranno domani alle 15 nella chiesa di Colle Aperto, quartiere di Mantova dove risiedeva, per proseguire verso il crematorio di Borgo Angeli.

Galetti era stato per ventidue anni linotipista in Gazzetta; dopo la pensione nel 1965 si era messo in proprio aprendo una linotipia in città con cinque linotype, la mitica macchina tipografica con cui si fondeva il piombo per trasformarlo in caratteri che poi, messi in ordine, diventavano la pagina da stampare. Ora resta il dolce ricordo di quel tipografo musicista, della «doppia vita – come dice Signoretti – dei grandi del jazz mantovano». —

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