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Conte è l’emblema della risacca grillina ingoiata dalla destra (e Schlein non può stargli vicino)

L’oggettivo sostegno di Giuseppe Conte alla destra grazie al mercanteggiamento sulle nomine Rai è un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, dell’impossibilità di un organico asse tra Partito democratico e Movimento 5 stelle che vada al di là delle convergenti battaglie parlamentari d’opposizione.

Le durissime parole, magari un po’ tardive, di Elly Schlein sulle «spallate» della maggioranza di governo al pluralismo in Rai avrebbero dovuto avere per corollario una condanna severa dello strapuntino di Conte alla tavola apparecchiata dalla destra. Ma la segretaria del Partito democratico sorvola su questo punto politico, che certo non riguarda le alchimie elettorali (ha ragione lei quando ricorda che di queste cose si discuterà tra quattro anni) ma la “ciccia”, la famosa linea politica: che alleanza si può fare con un personaggio che avalla le scelte della maggioranza sulla Rai non in nome di una qualche forma di “resistenza” ma nel segno della difesa degli amici.

Se la Rai è la cartina di tornasole di tutto un modo di praticare la politica, viene da domandarsi se la risacca del populismo grillino non abbia lasciato sulla battigia i segni della voracità “nera” che stiamo vedendo e se l’evaporazione del giallo del “primo M5s” abbia fatto infine emergere questa pulsione destrorsa che sta attraversando tutti i luoghi e tutti i laghi, come diceva la canzone, dalle nomine degli apparati dello Stato a quelle del mondo della cultura fino appunto alle nomine Rai.

C’è dunque un continuum tra il populismo e la movenza autoritaria della destra, nel senso che al “vaffa” è subentrato il richiamo all’ordine? Sembrerebbe di sì e in fondo non sarebbe la prima volta.

In un modo enormemente più drammatico avvenne più o meno la stessa cosa nel Primo dopoguerra, cent’anni fa, sappiamo cosa avvenne dopo l’onda irrazionalistica della fine degli anni Dieci del secolo scorso: arrivarono la destra e il totalitarismo.

A fare da trait d’union fra il giallo e il nero si presta poi perfettamente la figura dell’avvocato del populismo, un uomo che si è trovato in modo rocambolesco l’Italia tra le mani grazie ai consensi ottenuti da Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, arraffati sotto il sole del qualunquismo e che quando il potere è finito a Giorgia Meloni e i suoi Fratelli si è saputo piazzare sugli scranni della vecchia politica clientelare-demagogica in difesa del Reddito di Cittadinanza e di piccole rendite di posizione (incarichi istituzionali e parlamentari – da ultimo la vicepresidenza dell’Antimafia – nomine Rai, eccetera e quant’altro).

Stando così le cose, ci è corso un brivido sentendo giovedì alla tv che si starebbe preparando una manifestazione unitaria M5s-Pd-Sinistra italiana contro il recente decreto lavoro. La notizia a quanto pare era infondata, e meno male. A caccia di una ripresa di consensi che peraltro stenta a venire in piena luce, il Partito democratico non può fare cortei insieme con chi ha buttato giù Mario Draghi e ancor oggi mantiene posizioni anti Zelensky.

Anche se il no al decreto del Primo maggio in effetti accomuna queste tre opposizioni sarebbe del tutto incongruo e anzi drammaticamente sbagliato, per quanto detto sinora, che il partito di Elly Schlein sfilasse insieme a Giuseppe Conte, l’uomo-cerniera tra il giallo e il nero, l’emblema della risacca grillina ingoiata dal disegno oscurantista della destra.