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I contenuti online più ''problematici'' sono della Lega e di Salvini, di Fratelli d'Italia e di Meloni. Ecco il ''Barometro dell'odio'' di Amnesty International

ROMA. La coalizione di centrodestra ricorre più delle altre forze politiche al "linguaggio dell'odio", una classifica dei contenuti più "problematici" guidata dalla Lega di Matteo Salvini e da Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Al primo posto c'è l'immigrazione, poi Lgbtqia+ e giustizia di genere. Questa la rilevazione di "Barometro dell'odio" di Amnesty International, pubblicazione arrivata alla sua sesta edizione con le "Elezioni politiche 2022".

L'organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani ha messo sotto osservazione 85 politici nelle 5 settimane di campagna elettorale tra agosto e settembre. Gli esponenti sono stati scelti tra i candidati ai seggi uninominali e tra i capolista dei seggi plurinominali, circa 29 mila contenuti online analizzati da 50 attiviste e attivisti, così come esperti dell'organizzazione.

"Tra i gruppi di persone più spesso bersaglio dei messaggi discriminatori dei politici - evidenzia Amnesty International - le persone con background migratorio, il mondo della solidarietà, la comunità musulmana e quella Lgbtqia+. Ma emerge anche una discriminazione di tipo classista, che colpisce chi si trova in svantaggio socio-economico".

Sono 9 su 100 i post o tweet discriminatori. Il 60% risulta invece essere positivo o neutro, un altro 40% negativo ma non problematico. Guardando ai partiti che fanno maggiore ricorso a quello che Amnesty definisce il “linguaggio dell’odio” c’è il centrodestra (con il 9% dei contenuti), Azione e Italia Viva (6%), centrosinistra (4%) e Movimento 5 Stelle (3%).

In testa ai leader che diffondono “contenuti problematici”, c’è Matteo Salvini (18%) seguito dalla premier Giorgia Meloni (16%). Al terzo posto Carlo Calenda (9%), seguito da Silvio Berlusconi (5%), Nicola Fratoianni (4%), Giuseppe Conte (2%) e Enrico Letta (1%).

Se nel nove per cento dei post e tweet i politici hanno fatto uso del linguaggio d’odio, restringendo la lente ai casi di vero e proprio hate speech un contenuto su 100 incita alla discriminazione di una persona o di un gruppo di persone sulla base di caratteristiche personali o ne chiede la limitazione dei diritti. E' il linguaggio d’odio il più “premiato” dagli utenti in termini di like, condivisioni e commenti.

Di tutti i contenuti offensivi e discriminatori osservati, quattro su 10 sono stati attacchi rivolti dai politici agli altri politici, a scapito dei diritti umani, trattati solo in un quarto dei contenuti. I temi che sono più spesso stati oggetto di linguaggio d’odio sono immigrazione (53%), minoranze religiose (36%), mondo della solidarietà (35%), Lgbtqia+ (31%) e giustizia di genere (26%). Emerge anche un’altra forma di intolleranza e discriminazione, quella verso le persone in stato di svantaggio socio-economico. Gli altri temi che generano contenuti di odio sono Covid (23%), guerra (15%), disabilità (8%) e ambiente (5%).

Partiti e politici hanno seguito strategie di comunicazione online diverse. La coalizione del centrodestra ha pubblicato oltre il doppio dei contenuti offensivi e/o discriminatori rispetto alla coalizione del centrosinistra: il 9% rispetto al 4%, mentre Azione-Italia Viva si è collocata al 6% e il Movimento 5 Stelle ha avuto un 3% di contenuti di questa tipologia.

Guardando ai cinque esponenti politici che hanno pubblicato più post e tweet offensivi, che hanno incitano alla discriminazione e in cui hanno attaccano altri politici, i partiti cui sono riconducibili sono tre: cinque politici della Lega (Matteo Salvini, Manfredi Potenti, Claudio Borghi Aquilini, Edoardo Rixi e Severino Nappi – quest’ultimo non eletto), due di Fratelli d’Italia (Lucio Malan, Roberto Menia), uno di Azione (Carlo Calenda). Sono gli stessi partiti rivelati osservando i nomi dei politici che si sono espressi in modo più discriminatorio rispetto ai diritti umani.