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I potenziali danni ambientali della fuoriuscita di metano dal Nord Stream 1 e 2

I fondali del Mar Baltico tremano due volte tra domenica 25 e lunedì 26 settembre. I sismologi svedesi registrano un paio di forti scossoni a largo dell’isola danese di Bornholm, proprio dove passano Nord Stream 1 e Nord Stream 2, i principali gasdotti che trasportano gas naturale tra la Russia e l’Europa. Il calo di pressione rilevato fa pensare ad un guasto. Poi iniziano a circolare immagini del gas che ribolle sotto alla superficie del mare, i tubi presentano tre falle in punti anche molto distanti tra loro.

Le misteriose perdite a poche ore di distanza l’una dall’altra hanno allarmato le autorità danesi, convinte del fatto che le brecce scoperte nelle condutture siano state causate da un sabotaggio, data la scarsa probabilità di guasti tecnici in infrastrutture così monitorate. Mentre Ucraina e Polonia puntano immediatamente il dito contro Mosca, che si dichiara estranea rispetto l’accaduto, in molti si chiedono quali possono essere i danni ambientali provocati dall’oscuro incidente. Infatti la fuoriuscita di gas disperso non intacca il mare, ma evapora andando ad impattare sull’atmosfera e quindi sui cambiamenti climatici.

Al momento dello scoppio le condutture non erano in funzione. Già ad agosto infatti la Russia aveva sospeso del tutto i flussi provenienti dal Nord Stream 1, dando la colpa a difficoltà tecniche causate dalle sanzioni occidentali. Mentre il nuovo Nord Stream 2 non era mai entrato in funzione, in quanto la Germania aveva sospeso la sua inaugurazione pochi giorni prima che la Russia inviasse truppe in Ucraina, come forma di ritorsione. 

Nonostante non fossero operative, entrambe le pipeline contenevano molto gas pressurizzato: ad esempio nei 1.234 km del Nord Stream 2 scorrevano 300 milioni di metri cubi di gas. Si tratta perciò potenzialmente di 140-200 milioni di tonnellate di metano rilasciabili in atmosfera. Il gas naturale che stanno disperdendo le tubature è un combustibile fossile composto per il 90% da metano (CH4) – un gas serra che, nei primi 20 anni dalla sua dispersione, ha un potere climalterante 80 volte più elevato rispetto alla CO2 – e per la parte restante da una miscela di idrocarburi e altri gas (azoto, propano, butano, CO2). 

Come ha spiegato a Linkiesta Tommaso Franci, responsabile energia dell’associazione Amici della Terra, «essendo il metano più leggero dell’aria e molto più leggero dell’acqua è salito in superficie immediatamente. Poi, data la forte pressione interna, la grande quantità che fuoriesce e la non eccessiva profondità delle tubature, il metano ha potuto disperdersi nell’atmosfera senza che i batteri metanotrofi nella colonna d’acqua lo ossidassero».

Secondo i calcoli di Reuters, i tre fori – subito dopo l’incidente – emettevano in totale circa 500 tonnellate di metano l’ora. Ma questi valori, ovviamente, vanno a diminuire col tempo, man mano che la pressione e i volumi di gas scendono. Secondo Franci, però, una tale fuga di gas è paragonabile a livello di emissioni sul clima all’impatto di CO2 equivalente prodotto dell’intera Italia. Per quanto riguarda il Nord Stream 1, invece, è difficile avanzare qualsiasi ipotesi perché l’operatore non ha comunicato il volume di gas presente nel gasdotto dopo l’avvio dei lavori di manutenzione qualche settimana fa. 

Il reale impatto ambientale dell’evento è impossibile da stabilire con certezza in questi giorni. Tuttavia, l’attenzione rimane alta: «Il metano sotto forma di gas si solleva dalla superficie del mare nell’atmosfera, e potrebbe contribuire in modo massiccio all’effetto serra», ha spiegato Sascha Müller-Kraenner, direttore federale di Environmental Action Germany, a Politico