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Il lavoro dei detenuti, il Pnrr e il burnout diffuso nella Gen Z

(OTTO) ORE D’ARIA
L’ultimo caso di cui si è parlato è stato quello di Alberto Stasi. Il ragazzo, in carcere a Bollate dal 2015 per scontare 16 anni di condanna per l’assassinio della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco, da quattro mesi esce ogni giorno per andare a lavorare fuori e poi fare rientro. Fa il contabile in un ufficio, con rigide prescrizioni sugli orari di uscita e di rientro in cella, sui mezzi di trasporto utilizzabili, sugli itinerari dai quali non discostarsi e sui controlli.

Sui giornali Nel suo caso, come per altri «detenuti noti», fa notizia la decisione del Tribunale di sorveglianza di concedere il lavoro esterno al carcere. Anche se non si indica l’azienda per evitare interferenze. Ma non sempre ci si riesce. Come era successo nel 2012 nel caso di Renato Vallanzasca, assunto in un negozio di abbigliamento a Sarnico, sul lago di Iseo, per un programma di reinserimento al lavoro. Ma tra l‘invasione dei turisti, i curiosi, le lamentele dei parenti delle vittime e quelle cittadini sui «criminali che rubano il lavoro», alla fine venne licenziato.

Ma questi sono i casi noti. Il problema è che in realtà i numeri dei detenuti che vengono mandati fuori dal carcere a lavorare non sono così alti.

Fuori dalla branda Don David Maria Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio e fondatore della Cooperativa Sociale “La Valle di Ezechiele” con l’obiettivo di creare opportunità di inclusione lavorativa per persone detenute, sul Riformista ha ricordato che al 31 dicembre 2022 solo 2.608 persone su 56.196 avevano un lavoro esterno, cioè un impiego non fosse fare “lo spesino” o “lo scopino” alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Lavori per la quotidianità della vita in carcere. Che comunque è già un upgrade rispetto agli “anni di branda”, ossia quelli in cui non si fa nulla.

Perché numeri così bassi? Nonostante i benefici fiscali e i risparmi di oltre 500 euro al mese previsti dalla legge Smuraglia per le aziende che assumono detenuti, gli imprenditori difficilmente si rivolgono al carcere per cercare personale. Anche davanti alla carenza di manodopera lamentata soprattutto in questo periodo dell’anno.

Di cosa parliamo Il «lavoro esterno» non è una misura alternativa alla detenzione, ma un beneficio che ogni detenuto può vedersi concedere dal direttore del carcere – in un programma approvato dal magistrato di Sorveglianza – se ha scontato almeno un terzo della pena, se la sua condotta in carcere è positiva, se l’osservazione della sua personalità è confortante. L’obiettivo è favorire il valore rieducativo della pena con il reinserimento in contesti sociali non carcerari.

«Il valore di una persona detenuta al lavoro non dipende meramente dalla retribuzione, dall’occupazione del tempo, dalla stanchezza», spiega don Riboldi, ma «nasce anzitutto dall’igiene relazionale che deriva dall’essere immessi in contesti sociali non criminosi».

Detenuti per il Pnrr? A giugno 2022 l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia e quello dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao avevano firmato con le grandi aziende delle telecomunicazioni il memorandum d’intesa del programma “Lavoro carcerario”, che prevedeva tra le varie cose anche la possibilità che i detenuti potessero realizzare la posa delle reti in fibra ottica. Ma un anno dopo si riscontrano problemi burocratici e formativi e i numeri sono ancora molto bassi.

Di recente proprio dal carcere di Bollate è partita una lettera, in occasione della riforma del codice degli appalti, per favorire le possibilità di lavoro dei detenuti nella realizzazione dei progetti legati al Pnrr. Ma non ci sono stati riscontri.

Eppure… Secondo una stima del ministero della Giustizia, i detenuti potenzialmente pronti per un nuovo lavoro anche all’esterno del carcere sono oltre 2.300.

A chi conviene? Il lavoro dei detenuti è un’occasione per ricostruire un nuovo percorso, utile quando sono ancora dietro le sbarre ma soprattutto quando escono. Se il carcere deve preparare “al fuori” come la legge ci dice, lo deve fare non proteggendo la persona, ma mettendola di fronte alla realtà per quello che è – ci aveva spiegato Roberto Bezzi direttore dell’area educativa della Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Vivere con i colleghi, rispondere a domande che possono essere poste sulla propria storia e sulla vita in carcere, può essere difficile. Però questo accadrà anche quando saranno liberi.

E i numeri dicono che converrebbe a tutti. Nella ricerca di Francesca Malzani, “Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario”, presentata anche al Cnel, si spiega che se la recidiva per i detenuti non lavoratori si aggira intorno al 70%, per coloro che invece in carcere hanno appreso un lavoro, imparando ad avere fiducia in sé stessi, la recidiva scende drasticamente intorno al 2%.

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ATTESA PER IL “NUOVO” PNRR

  • C’è la lite con la Corte dei Conti, che avrebbe fatto notare troppe volte a Palazzo Chigi ritardi, incongruenze, criticità nell’uso dei fondi europei del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Quindi il governo sta lavorando a un emendamento per fermare «il controllo concomitante» dei magistrati contabili previsto per legge.
  • Ci sono le liti tra Palazzo Chigi e Mef, dopo che Meloni e Fitto hanno riportato la gestione dei fondi a Palazzo Chigi togliendo tutto il lavoro alla Ragioneria dello Stato.
  • Ci sono le tensioni con i tecnici del Pnrr che aveva assunto Draghi, venti dei quali si sono già dimessi nelle ultime settimane. Ma anche i 500 esperti entrati per concorso stanno per fare le valigia. Per decreto dovrebbero essere stabilizzati, ma poi i ministeri non hanno i soldi per farlo. E ora potrebbero scendere in piazza pure loro.
  • E poi c’è il filo tesissimo con la Commissione europea, dalla quale si aspetta ancora l’ok definitivo sulla terza rata da 19 miliardi.

Ce la faranno? In tutto questo, il governo sta provando a riscrivere il Pnrr, ma non abbiamo ancora capito quale sarà il disegno finale. Sono arrivati sulla scrivania di Fitto i report dei ministeri sui progetti non realizzabili entro il 2026. Valditara ha scritto che sono troppe 2.100 scuole da mettere in sicurezza. Bernini chiede più soldi per realizzare 52.500 posti letto per gli universitari in tre anni.

Agenda Il 31 maggio ci sarà la cabina di regia sul piano, per provare ad accelerare i tempi e portare la relazione semestrale in Parlamento entro la seconda settimana di giugno.

Intanto… Nonostante molti esponenti della maggioranza propongano di rinunciare a una parte delle risorse l’Italia ha chiesto nuovi fondi sotto forma di prestiti legati al Pnrr. Meloni vorrebbe più soldi per risparmiare sui tassi di interesse sempre più cari, ma non si sa – anche qui – come vorrebbe spenderli. Intanto tutti i ministri assicurano che «spenderemo tutti i fondi». Ma Dombrovskis dice che una proroga sui tempi è improbabile.

CERCASI DECRETO
Sui 2 miliardi di impegno varati dal decreto alluvioni del governo, circa 900 milioni sarebbero destinati a mettere in protezione il lavoro con ammortizzatori sociali e sussidi. La ministra Marina Calderone ha annunciato che per i circa 400mila lavoratori delle zone colpite dalle alluvioni nei giorni scorsi verranno stanziati degli strumenti per proteggere le aziende. Ma le tempistiche non sono ancora definite. Prima bisogna aspettare la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale.

EVERGREEN
Puntuale, all’inizio di ogni estate, anche quest’anno è arrivato l’allarme sugli stagionali del turismo che non si trovano. Anche se, oltre ai ristoranti e agli alberghi, come abbiamo più volte raccontato, sono molte le industrie italiane che lamentano una carenza strutturale di manodopera: edilizia, agricoltura, manifattura.

«Pay them more» Ora un nuovo studio della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) dà un ulteriore tassello per spiegare il fenomeno: i settori interessati dalla maggior carenza di manodopera in 22 Paesi europei offrono in media stipendi del 9% più bassi rispetto a quelli che non ne soffrono. Il divario più ampio si riscontra in Italia, dove le industrie più in difficoltà nel reperire lavoratori pagano il 23% in meno rispetto alle altre che invece non hanno problemi a trovarne.

Da leggere “I veri salari da migliorare in Italia sono quelli alti, non quelli bassi”, di Marco Leonardi, sul Foglio.

Meglio il posto fisso Lo stipendio medio di un impiegato pubblico risulta leggermente più alto del suo equivalente nel privato, dice uno studio dell’Aran.

ABBIAMO ABOLITO I POVERI
Il combinato disposto tra i maggiori controlli ex ante introdotti da Draghi e l’effetto annuncio della riforma Meloni ha prodotto un forte rallentamento delle domande per il reddito di cittadinanza, scese a 366mila nel primo quadrimestre di quest’anno rispetto alle 485mila dello stesso periodo del 2022, il 24,5 per cento in meno. Ma quello che preoccupa è cosa succederà dal 2024 con le novità introdotte da Meloni. La grossolana distinzione tra occupabili e non occupabili creerà grandi disparità e in molti dovranno arrangiarsi.

E anche l’Anpal Anche perché sulle politiche attive c’è il vuoto. E il governo, con un emendamento al decreto enti, vuole abolire anche l’Agenzia nazionale delle politiche attive, assorbendola nel ministero del Lavoro di Calderone. I lavoratori sono scesi in piazza. Ma l’Agenzia, con il decreto lavoro, è stata già di fatto svuotata delle sue funzioni.

È FATTA
Dopo sei anni dal primo tentativo, e dopo altre centinaia di milioni di euro di perdite sulle spalle degli italiani, sarà dunque Lufthansa a scalare l’ex Alitalia. L’intesa sulla nuova Ita Airways, di cui i tedeschi rileveranno a breve il 41% con un aumento di capitale di 325 milioni, è stato raggiunta. Prima di firmare, vanno ancora definiti gli ultimi dettagli tecnico-legali, poi l’accordo andrà sottoposto alla Corte dei Conti italiana e alla Direzione Generale per la Concorrenza dell’Ue. L’investimento complessivo di Lufthansa in Ita Airways alla fine dell’operazione sarà di circa 830 milioni di euro in tre fasi.

… ancora no Dopo il commissariamento di Inps e Inail, spopola il totonomine per i prossimi presidenti. La scelta dovrebbe arrivare a breve.

NUMERI & RACCOMANDAZIONI
In agenda Mercoledì 31 maggio l’Istat pubblica il dato sul Pil del primo trimestre. Giovedì 1 giugno avremo i dati su occupati e disoccupati ad aprile 2023. Secondo le ultime stime Ocse, il Pil in Italia è cresciuto dello 0,5% nei primi tre mesi del 2023, sopra la media Ocse.

Un riassunto Nelle raccomandazioni economiche di primavera della Commissione Ue, si dice che l’Italia deve tagliare le misure di sostegno energetico, adottare una politica fiscale prudente – mantenendo la spesa primaria netta sotto l’’1,3% -, continuare con la politica di risanamento dei conti, adottare rapidamente il Pnrr e aggiornarlo quanto primo con il capitolo RepowerEu anche per ridurre la dipendenza dai fossili. Bruxelles, tra l’altro, invita Roma anche a ridurre ulteriormente le imposte sul lavoro e rendere più efficiente ed equo il sistema tributario.

COSE DI LAVORO
Chi ha paura dell’Ai La banca d’affari Goldman Sachs prevede che 300 milioni di posti di lavoro a livello globale saranno rivoluzionati dall’intelligenza artificiale. A essere esposti non sono solo i compiti più ripetitivi di figure meno qualificate. Potrà essere automatizzato, ad esempio, metà del lavoro che si fa in uno studio legale. O anche quello dei designer. Ma l’integrazione tra algoritmi e uomini sarà molto superiore alla sostituzione, assicurano. Tutto, certo, dipenderà da come gestiremo questa trasformazione.

Ma io lavoro per non stare con te Il ministero spagnolo delle Pari opportunità sta lavorando a un’app che misurerà il tempo che ogni persona in una famiglia dedica alle incombenze domestiche. In Spagna, le donne dedicano a questi compiti più del doppio delle ore rispetto agli uomini e questo incide sull’occupazione e la carriera femminili. Staremo a vedere se funzionerà.

O troppo o poco Mentre in Italia aumentano i giovani che non cercano lavoro (soprattutto al Sud) e il nostro Paese si conferma maglia nera in Europa per numero di Neet (soprattutto al Sud), sappiamo pure che la Generazione Z è quella che – travolta dall’incertezza economica globale dovuta a due crisi consecutive – tende a lavorare più ore, soffrendo più spesso di burnout.

«Tutti pensano che siamo pigri e che vogliamo solo lavorare da casa, quindi lavoriamo molto di più anche per sfidare questi pregiudizi», dice Jasmin Martin, 25 anni, a Bbc.

Che ne pensate?

Per oggi è tutto.

Buona settimana!

Lidia Baratta

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