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L’ascesa del "Pipistrello" Donzelli, dalla Toscana rossa al cerchio magico di FdI

I colleghi di Roma, ora che è diventato potente, gli hanno affibbiato un soprannome poco lusinghiero, come quasi tutti i soprannomi romani. "Il Pipistrello", lo chiamano così, Giovanni Donzelli. Forse perché una volta raccontò che da bellicoso militante del Fuan finì appeso a testa in giù dal terzo piano della facoltà di Scienze politiche a Firenze. Gli studenti di sinistra lo tenevano per le caviglie. O forse perché è riuscito a volare lì dove altri compagni di scranno non sono riusciti: giusto un gradino sotto Giorgia Meloni, a tenere le redini del primo partito d'Italia, 30% e passa nei sondaggi. Per tutti gli altri è semplicemente "Donze", o, nomignolo bonario, "il monaco", perché lasciata via della Scrofa rincasa presto, nel bilocale a Monti che divide col sottosegretario Delmastro. Senza farsi risucchiare dai salotti. "Per rimanere lucido", dice lui. Dieta, dolcevita e scarpe a punta, lucide.

Come in tutte le scalate, adesso il Donze dà fastidio. A 47 anni ha rinunciato a un posto da ministro (nel toto-governo era dato quantomeno ai Rapporti col Parlamento, dov'è finito Luca Ciriani), ma nel frattempo ha infilato 5 incarichi, tra partito e Parlamento. Un record: deputato, segretario dell'Aula di Montecitorio, vicepresidente del Copasir. E poi responsabile dell'organizzazione di FdI, quasi un vice-Meloni appunto, e adesso anche commissario del partito a Roma, chiamato a domare la fronda dei rampelliani, missione da Mr Wolf di via della Scrofa.

Sta più lì, nella sede storica dei missini, ora quartier generale dei meloniani, che alla Camera. Ha una stanza dove passò Giorgio Almirante. Scrivania in radica che fu di Gianfranco Fini, di cui era "innamoratissimo", prima di restarne deluso. A Montecitorio si vede di rado, quando c'è da pigiare il bottone per un provvedimento chiave o per qualche intervento a gamba tesa, come ieri.

L'arte della politica l'ha imparata da Maurizio Gasparri, è cresciuto sotto la sua ala ai tempi di An. E forse da lì deriva anche la passione per certe uscite beffarde, le battute ciniche, aggressive ma a effetto. E quell'aria da toscanaccio fa il resto. "Quanti migranti ospiti nella tua villa?", chiese a Oliviero Toscani, anni fa, durante un talk di cui ormai è diventato presenza fissa, promosso al rango di ospite di Porta a Porta (ma continua a non disdegnare Rete4). Nelle teche, è pieno di uscite così. La sbornia elettorale del 25 settembre non l'ha cambiato, nel senso della prudenza, dei toni sottili. "Spiace per i rosiconi", dichiarava un mesetto fa. C'è sempre il rischio che poi ti parta la frizione però, come quando per difendere il collega di partito Galeazzo Bignami, noto al grande pubblico per la foto in mise da nazista a un addio al celibato, azzardò: "Una volta a carnevale mi sono travestito da Minnie, sono forse Minnie?". Minnie, altro soprannome, il più recente. "È stato un ottimo allievo - dice di lui Gasparri - militante vero, lavora h24, si sposta. Certo dovrebbe imparare a dosare un po' le espressioni, ma capita anche a me, dopo tanti anni....".

L'ascesa politica parte da lontano e in un territorio ostico, la Toscana, terra rossa. Famiglia di sinistra, quando da ragazzino si iscrive al Fuan la mamma pianse. Il primo incontro con Meloni è nel '99, durante un volantinaggio davanti al liceo Michelangelo. C'era pure Francesco Lollobrigida. Ma il rapporto con la premier si cementa nel 2004. Congresso di Viterbo, l'attuale premier è in lizza per la guida di Azione Giovani: Donzelli è uno dei capi della mozione pro-Meloni, appoggiata da Gasparri, mentre Fini e Alemanno tifavano per Carlo Fidanza. La mossa riesce. La leader di FdI, nella famosa biografia "Io sono Giorgia", sembra riconoscente e spende parole al miele: "Giovanni è una delle persone su cui ho potuto, e posso tutt'ora, contare di più". L'unico sgarbo, nel 2012, poco prima della nascita di FdI. Alle primarie del Pdl, poi abortite, Donzelli è quasi costretto a sostenere Alfano, a discapito di Meloni. Ma lo strappo dura un attimo.

Mentre la carriera universitaria è un buco nell'acqua (si iscrive prima a Lettere, poi passa ad Agraria, ma niente tesi), quella politica decolla. Risponde a tutti, il suo cellulare è pubblico, ancora oggi sul suo sito internet, con chiosa pop-populista: "Inutile cercarmi per chiedere raccomandazioni". La trafila istituzionale parte dal Comune di Firenze, anche se adesso vive a Prato. Consigliere dal 2004 al 2010, fa da contraltare al Renzi in ascesa. A modo suo, a colpi di esposti in procura (per un caso, si scoprirà poi, ha lavorato anche come strillone nella società di Renzi padre). Nel 2010 passa in Regione: listino bloccato a Pisa, "il colmo per un fiorentino", ghignano i colleghi. Ma si fa notare. Anche qui, esposti contro "il potere rosso" e proposte di legge contro gli immigrati. Nel 2018 Meloni lo premia col seggio alla Camera. Sembrava un traguardo, ma era solo l'inizio.