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L’Europa pagherà caro il ritardo sui prezzi dell’energia

Questo articolo è pubblicato sul numero 41 di Vanity Fair in edicola fino al 11 ottobre 2022

I ritardi dell’Ue sui prezzi dell’energia costeranno più di quanto immaginiamo. C’è un costo che vediamo oggi, nel conto in banca. Già a luglio, in Italia come in Grecia, serviva un mese di stipendio, in valori medi, per pagare il costo annuo delle bollette. L’effetto contagio continua: per come è congegnato il mercato, i prezzi esorbitanti del gas hanno condizionato quelli di tutta l’energia, che a sua volta contagia i prezzi in generale. L’inflazione aumenta, i nostri stipendi no. Ma dobbiamo aggiungere, in prospettiva, altri costi economici e politici, che peseranno anzitutto sui più fragili. Da oltre un anno, il dossier delle bollette in rialzo è sui tavoli delle istituzioni Ue. Il tempo per una risposta comune c’è stato, e anche le idee. Eppure un pugno di governi, con la complicità determinante della Commissione europea, hanno messo un freno a interventi radicali condivisi. Per Bruxelles, l’obiettivo era la salvaguardia delle logiche di mercato. Così, il mercato dell’energia non è stato ridisegnato, e la proposta del tetto al prezzo del gas è stata accantonata. Prima l’hanno rinviata i capi di Stato, che nell’ultimo Consiglio europeo estivo hanno posticipato la discussione all’autunno, e poi la Commissione. Che ha continuato fino all’ultimo a liquidare l’ipotesi come controproducente, per quanto ormai una maggioranza di governi sia a favore. Non significa che Bruxelles non abbia fatto nulla. Ha imposto gli stoccaggi di gas per l’inverno. Ha messo in campo l’austerità energetica: d’estate ha avviato il taglio dei consumi che ora diventerà obbligatorio per tutta l’elettricità. Di recente ha fissato una soglia di costo per le fonti di energia diverse dal gas, e un «contributo di solidarietà» per i combustibili fossili. Ma nel contesto attuale queste operazioni sono «un cerotto», come lo ha definito la presidenza di turno ceca, e intanto si è ammalata tutta Europa. Ecco perché l’ultimo regolamento europeo precisa che se queste misure fossero insufficienti si può attingere ai bilanci nazionali. Senza aspettare il vertice Ue, Berlino ha annunciato che lo farà. Stanzierà 200 miliardi. Per non imporre limiti a chi vende gas, e per non incidere sul mercato, compenseremo i costi alti coi bilanci pubblici, quindi coi soldi di tutti. I Paesi che hanno più margine di manovra, come la Germania, potranno intervenire meglio, rendendo le loro imprese più competitive. Tutto ciò ha costi anche politici: proprio i governi che hanno rallentato sul tetto al prezzo del gas e sulla riforma del mercato, come quello tedesco e olandese, se la caveranno meglio. E quale Unione è quella in cui «alcuni europei sono più uguali di altri», parafrasando Orwell? La crisi dell’energia è nuova, ma per altri aspetti è vecchia. Pure stavolta, un fronte di Paesi meridionali, la Spagna in testa, aveva segnalato da tempo questi rischi e chiesto interventi efficaci. Lo schema già visto con la crisi finanziaria, dove pochi governi di peso fanno scelte che ricadono sui più fragili, è il peggior nemico dell’Europa che sarà. Ed è un costo per gli europeisti. 

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