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La Fame d'aria di Mencarelli, l'autismo e l'umanità non perduta

DANIELE MENCARELLI, ''FAME D'ARIA'' (MONDADORI, pp. 174 - 19,00 euro). A Sant'Anna del Sannio l'impressione è che, almeno stando a quanto racconta Daniele Mencarelli, non accadrebbe mai che un genitore con un figlio gravemente disabile venga invitato a nasconderlo, a stare con lui isolato, non assieme agli altri, come tanti recenti fatti di cronaca ci ricordano. Potremmo dire che in quel piccolo, bel paese di pietra bianca che va disabitandosi e pare fuori del tempo, l'umanità non è morta, e il romanzo FAME D'ARIA (Mondadori) ci sembra in fondo proprio un'indagine sull'umanità, la difficoltà della sua sopravvivenza, la difficoltà di praticarla, l'impietosa naturalezza con cui la si può perdere. Per raccontare questo, Mencarelli, l'autore del bello e fortunato ''Tutto chiede salvezza'' (diventato anche applaudita serie Netflix) crea una storia molto dura, un viaggio verso il fondo senza risparmiarci nulla. Come nulla è stato risparmiato al suo protagonista Pietro Borzacchi, la cui vecchissima Golf si guasta, costringendolo appunto a passare un weekend a Sant'Anna in attesa del pezzo di ricambio. Pietro è in viaggio col figlio Jacopo ''autistico a basso funzionamento, bassissimo...
    significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso'', come spiega secco a chi domanda, non avendo voglia di parlarne, di dare spiegazioni sul come, il perché, il quando. Sono anni e anni che con la moglie Bianca si occupa del ragazzo, oramai quasi un uomo, che, via via, è diventato per lui una sorta di maledizione che lo ha prosciugato ''come un cratere vuoto'': di soldi rendendolo povero e indebitatissimo per i costi; di tempo, perché richiede attenzione e assistenza continua, dal pulirlo e cambiargli il pannolone, al farlo mangiare; di sentimenti soprattutto, con l'amore finito con la speranza che arrivasse un miracolo. Così, ''come unica risposta, da est è spuntato l'odio. Ha ricoperto tutto, i sani, i malati, la vita intera. Per anni è stato così. Poi pure l'odio è tramontato. Resta la rabbia, quando esplode'', impotente, contro se stesso che si fa male per sfogarsi, prendendo a pugni un muro, non avendo alcuna risposta alla istintiva domanda ''perché è capitato a me?''. Un uomo quindi fragile che, quando si addormenta ''accovacciato, in posizione fetale'' accanto a Jacopo, ''a guardarli, il figlio sembra il padre. Il padre un bambino''. Tra sé e sé chiama Jacopo lo Scrondo, re dei freak in una serie tv anni '80, così come è sgarbato e spesso provocatorio nei rapporti con gli altri. Eppure in paese mostrano disponibilità e attenzione, dal meccanico in pensione Oliviero a Agata della trattoria, che gli dà anche una stanza nella sua pensione chiusa da tempo, sino a Gioia, la cameriera sorridente e vitale che riesce a mandare un raggio di sole nel mondo oscuro di quel Pietro ''violentato dal destino, regredito a una vita senza bellezza'' e che lo fa emozionare portandolo al tramonto su un belvedere in cima a un monte. Non a caso sarà lei poi a agire, provocando i colpi di scena finali. Un racconto aspro in cui Pietro sospetta che se Jacopo fosse nato in una famiglia ricca, avrebbe avuto cure migliori e, magari, avrebbe avuto dei progressi, riflettendo, dal suo punto di vista, come sia difficile avere figli normali, una vera scommessa, e solo, senza veri aiuti pubblici o degli amici (''Tutti si sono spaventati, o forse ci siamo chiusi noi''), certo che ''i genitori dei figli sani non sanno niente''. Come negli altri romanzi, più autobiografici, di Mencarelli, i protagonisti con la loro rabbia e grave disagio verso il mondo riescono a salvarsi grazie all'incontro con gli altri, in una clinica psichiatrica come in un piccolo borgo in cui i rapporti tra le persone sono ancora mossi dalle emozioni e i sentimenti, persino con quelli meno disponibili e più pieni di sé come il sindaco fascista Agostino. E' questo un libro capace di disturbare e magari scandalizzare probabilmente in po' tutti con la sua narrazione dura di una cocente, feroce disillusione, sia i normali che non sanno, sia coloro che vivono la disabilità, ma la scrittura di Mencarelli ha una sorta di grazia, lucida, essenziale, precisa, senza una sbavatura, senza un'ombra di retorica, che non può quindi non coinvolgere e lasciare tutti a chiedersi ''Perché?'' come Pietro nel finale, pur avendo ognuno ''fatto tutto il possibile'', come ripete il meccanico davanti alla Golf di Pietro, con una frase e confronto con se stesso e davanti agli altri che appare più ampiamente metaforica. (ANSA).