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La gogna sotto la curva ultras è illegale (ora c'è anche una sentenza)

Obbligare dei calciatori a sottomettersi ai propri ultras, con quel rito tribale che accompagna i finali di partite andate male, non si può. Pena squalifiche e multe. Non si può trascinare giocatori a chiedere scusa ai tifosi, prendere insulti, sputi e ricevere anche minacce a volte indicibili; nemmeno se hanno giocato malissimo, languono sul fondo della classifica e l'arrabbiatura dei tifosi potrebbe avere anche un senso visti i risultati. A sostenere che la gogna dei perdenti sotto le curve degli stadi italiani non è più tollerabile è finalmente non solo una norma scritta nel Codice sportivo ma anche una sentenza su un fatto specifico.

IL TESTO DELLA SENTENZA SU PRO SESTO-PIACENZA.pdf

E' accaduto a inizio dicembre in Serie C: Pro Sesto contro Piacenza. Uno a zero per i padroni di casa e contestazione di quelli venuti da fuori che a distanza di tre mesi si è trasformata in squalifica per tre tesserati e multa. A pagare il conto sono stati Alessandro Cesarini, capitano piacentino quel giorno, Francesco Fiorani, dirigente responsabile del rapporto con la tifoseria, e Roberto Pighi, presidente del club. A fare precedente è la motivazione dello stop (una giornata per Cesarini e 15 giorni per gli altri due).

Il capitano è stato punito per aver "acconsentito e, comunque non impedito, che tutti i componenti della propria squadra in campo, obbedendo a quanto comandato dai propri sostenitori, si avvicinassero alla recinzione prospiciente il settore ospiti dello stadio “Breda” di Sesto San Giovanni, al fine di iniziare con gli stessi un’interlocuzione di circa 5 minuti nel corso della quale l’intera squadra si sottometteva a ripetute manifestazioni intimidatorie". Il dirigente per non essersi "adoperato con prontezza al fine di evitare che tutti i calciatori, obbedendo a quanto comandato dai propri sostenitori, si avvicinassero alla recinzione" così come il presidente, reo di "non averlo impedito" pur evidentemente potendo.

Una piccola vicenda che, però, dovrebbe fare da precedente perché i processi in campo alle squadre sconfitte e contestate sono uno dei riti più barbari che il calcio italiano esporta per il mondo. Una sottomissione pericolosa anche perché, come hanno accertato inchieste penali, è quasi sempre il modo in cui i gruppi ultras certificano il loro potere e la loro influenza in un codice di rapporti di forza che vede spesso le società complici per evitare guai peggiori. Anche con il beneplacito delle forze dell'ordine presenti sul posto.

Nel 2015 avevano fatto rumore le parole di denuncia dell'allora portiere della Roma, Morgan De Sanctis. I giallorossi erano stati protagonisti di una di queste gogne sotto la Curva Sud dopo la sconfitta contro la Fiorentina in Europa League. Le immagini avevano fatto il giro d'Europa e il Viminale si era fortemente irritato per il simbolismo di quella scena: "A 38 anni non sono contento di essere esposto al pubblico ludibrio, perché di questo si è trattato - aveva detto De Sanctis, firmatario anche di un verbale davanti agli investigatori -. E' una gestione che crea meno tensioni, le istituzioni erano lì con noi e potevano fermarci ma non l'hanno fatto".

Nel Codice di giustizia sportiva il divieto è scritto nero su bianco all'articolo 25 comma 9: "Ai tesserati è fatto divieto di avere interlocuzioni con i sostenitori o di sottostare a manifestazioni e comportamenti degli stessi che costituiscano forme di intimidazione, determinino offesa, denigrazione, insulto per la persona o comunque violino la dignità umana". Non viene mai applicato, come testimoniato da quanto accaduto anche di recente ad esempio (ma non solo) dopo Spezia-Inter. Ora il precedente c'è, basta moltiplicarlo per tutte le volte che ci sia la necessità.