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La storia di Alessia: «Il mio cuore come nuovo grazie a un robot»

Il 29 settembre è la Giornata Mondiale del Cuore, un’occasione per sottolineare i passi avanti compiuti dalla medicina in quest'ambito ma anche l’importanza della prevenzione per malattie spesso silenti. Come il prolasso della valvola mitrale.

Prolasso della valvola mitrale: di cosa si tratta

Con questo termine si indica una patologia della valvola mitrale, ovvero una delle quattro valvole cardiache posta tra l’atrio sinistro e il ventricolo sinistro del nostro cuore che ha il compito di far sì che il sangue faccia il suo giusto percorso, assicurando lo scambio corretto di ossigeno e anidride carbonica. Una valvola che si apre e si chiude nel cuore di ognuno di noi 100mila volte al giorno e che però può anche ammalarsi, presentando una stenosi, un restringimento, e dando origine a quella che viene chiamata appunto insufficienza mitralica o prolasso mitralico. Una patologia che colpisce solo in Italia più di un milione di persone, spesso anche giovani.

Prolasso della valvola mitrale: la storia di Alessia

«Ho ricevuto la prima diagnosi quando ero ancora piccola, a 9 anni - racconta Alessia Galli, una ragazza di 24 anni di Lecco, prossima alla laurea in Fisica - sono sempre stata molto sportiva, ho iniziato facendo ginnastica artistica e poi pallavolo che avrei potuto praticare a livello agonistico. Purtroppo però, durante una visita di controllo per ottenere il certificato sportivo, mi è stato diagnosticato un prolasso della valvola mitralica di livello moderato».

Ad Alessia, ancora piccola, crolla il mondo addosso: insieme alla diagnosi arriva infatti anche lo stop definitivo alla pallavolo e in generale a praticare qualsiasi sport a livello agonistico.

Il prolasso mitralico è per il 90% di origine congenita e spesso, soprattutto al suo esordio non dà sintomi, rendendo complessa la diagnosi.

Alessia si sottopone così ogni anno a controlli di routine e continua a fare attività fisica per piacere: nuoto, corsa e camminate in montagna, altra sua sua grande passione. Tuttavia, ogni volta che raggiunge un certo livello, la ragazza si sente dire che deve interrompere perché continuare potrebbe essere pericoloso.

«Alla fine, scoraggiata da tutti i no che ricevevo, mi sono allontanata dallo sport - racconta ancora Alessia - per tutte le superiori non ho più fatto nulla. Poi, all’università, mi sono trovata circondata da ragazzi che facevano sport e pian piano ho ricominciato, facendo passeggiate o corse moderate e andando in montagna».

Insieme alla voglia di tornare a fare attività fisica però in Alessia affiora anche il timore di doversi sottoporre alle visite di routine. «Temevo che un altro controllo avrebbe potuto togliermi anche la possibilità di fare quello che stavo facendo e che mi aiutava a sentirmi bene - racconta - Complice il Covid e la difficoltà di prenotare visite, sono passati così tre anni senza che mi sottoponessi ad altri controlli».