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Mare fuori 3, Antonio Orefice: «Maria Esposito? Se son rose fioriranno… Il mio Totò mi ha cambiato la vita»

«Sono sincero». Antonio Orefice, classe 1997, per chiunque ormai Totò della fiction italiana dei record la cui terza stagione sta per finire, sente il bisogno di ripeterlo spesso. È che proprio ci tiene a esserlo. Per i fan che lo vengono a cercare sotto casa, a Secondigliano, quartiere a Nord di Napoli, dove vive con i genitori e la sorellina Aurora di nove anni; per quelli che gli fanno avere fiori, lettere, pupazzi, colazioni… e per quelli che si tatuano le frasi-tormentone della serie, immortalano il momento e gli mandano le foto nei messaggi in Direct di Ig. Lui dà retta a tutti, risponde a tutti, non si risparmia: «Io sono a disposizione delle persone. Questo è il senso del successo». Che è arrivato travolgente, dopo una gavetta cominciata con largo anticipo, da bambino, sul palco del Teatro Bellini della sua città, e proseguita tra serie (la prima stagione di Gomorra) e cinema (Bob & Marys con Laura Morante e Rocco PapaleoBenvenuti in casa Esposito con Giovanni Esposito e Francesco Di Leva, Carosello Carosone con Eduardo Scarpetta).  

Mare fuori 3 Antonio Orefice «Maria Esposito Se son rose fioriranno… Il mio Totò mi ha cambiato la vita»

Come è entrato Mare Fuori nella sua vita?
«Mi sono presentato per fare Cardiotrap, e il buon Domenico Cuomo per Totò. Solo alla fine abbiamo scoperto che avremmo recitato a parti invertite». 

Quanti provini ci sono voluti?
«Cinque in tre mesi. Una mattina mi sono svegliato e avevo una ventina di chiamate perse della mia agente. Primo pensiero: ho fatto qualcosa che non dovevo».

Invece?
«Mi ha detto, testuali parole: “Tesoro, sono orgogliosa di te! Sei Totò di Mare Fuori!”». 

Reazione?
«Sono sincero, ho lanciato il telefonino. Poi mi sono infilato una tuta e ho raggiunto mia mamma alla sua scuola di ballo: non potevo non condividerlo subito con lei». 

Come si è preparato per interpretare Totò?
«Ovviamente mi sono documentato: insieme agli altri sono andato a vedere le carceri minorili, ho incontrato i detenuti di un IPM, e in quelle occasioni ho cercato di “rubare” emozioni, espressioni, sfaccettature da mescolare alla mia personalità. Ho una regola: non sono io che mi adatto al personaggio, è il contrario, è lui che si adatta al sottoscritto. Gli parlo proprio e gli dico: “Adesso tu devi ascoltarmi e stare con me”».

Funziona?
«Fino a ora sì». 

Sul set chi è il più casinista? 
«Le anime del gruppo siamo io e Artem, praticamente un fratello». 

E il più tranquillo?
«Nicolò Galasso, in arte O’Pirucchio. Ringraziando Dio, siamo tutti amici e ci vogliamo un bene che non si può spiegare». 

Mare Fuori le ha portato anche l’amore di Maria Esposito. 
«Guardi, non lo confermo. Questa cosa, che è privata, non è mai uscita dalla nostra bocca. Si sarà notata una certa simpatia. Se sono rose fioriranno, con tutta la tranquillità del mondo. Sono sincero».

Si è mai chiesto dove sarebbe se la serie non fosse arrivata?
«Comunque qui: forse non adesso, ma tra qualche mese o qualche anno di sicuro. Credo troppo in me stesso». 

A che cosa deve questa fiducia?
«Mia mamma è una ballerina e una coreografa, alla fine di ogni anno nella sua scuola lei organizza un saggio, in genere un musical, da portare al Teatro Bellini. Fin da quando sono piccolo cerca di coinvolgermi. Deve però subito accantonare l’ipotesi di lasciarmi danzare: sono inguardabile, una cozza, non le sto a dire. Allora mi fa recitare. La prima volta sul palco: a sei anni. Si racconta che poco prima di andare in scena io pronunci queste parole: “Ho sempre desiderato stare sotto quella luce gialla e parlare di fronte alle persone che mi guardano tutte”. Si racconta anche di una standing ovation al termine dello spettacolo. Leggende metropolitane oppure no, l’allora proprietario e direttore artistico del Bellini, Tato Russo, mi propone il mitico Masaniello: 140 repliche. Mi pesano un po’, di anni intanto ne ho otto, ho voglia di giocare; ma nel momento esatto in cui metto piede sul tavolato non esiste più il tempo, solo la magia. Chi mi è vicino lo capisce e mi supporta: dagli insegnanti delle elementari, che mi vengono incontro il più possibile, ai miei genitori». 

Anche suo papà fa un mestiere artistico?
«No, è un rappresentante di caffè, lo vende alle aziende e ai negozi».

Non avrebbe preferito per lei un destino diverso?
«Per carità! Perdevo i provini e mio padre: “Non è niente, riprova!”. Mi sono iscritto all’Accademia di cinema di Napoli e lui: “Ci penso io alla spese”. Però non si arriva lontano senza rimboccarsi le maniche e, a un certo punto, non me la sono più sentita di pesare economicamente sulla famiglia: e gli studi, e i treni e gli alberghi per i provini, tanta roba… Che ho fatto?».