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Neomamma testimone di Geova, obbligata alla trasfusione, vince in tribunale

Dopo il parto cesareo programmato, la neomamma Laura (il nome è di fantasia), testimone di Geova, viene intubata ed è ferma in un letto, anche se cosciente. I medici, però, riscontrano un'emorragia in corso, e viene fatta una laparotomia: l’équipe sanitaria ritiene sia necessaria una trasfusione di sangue.

La donna si oppone fermamente per ragioni religiose. Ma i medici non desistono e si rivolgono al magistrato. Pur se non ottengono l'autorizzazione a procedere, decidono di sottoporre comunque la neomamma alla trasfusione. E adesso il tribunale di Milano ha stabilito che Laura abbia subito una violazione nella sua integrità di persona e nel suo diritto alla libertà di credo e all'autodeterminazione, e la sentenza stabilisce il suo diritto a un risarcimento di 40 mila euro per il danno subito.

Lo ha raccontato l'avvocata Laura Mattei, che ha collaborato alla difesa della donna, durante il convegno del centro studi Lirec all'Ateneo Pontificio Salesiano.

Laura, che dopo il trattamento sanitario subito contro la propria volontà si è rivolta ai giudici, ha perso in primo grado e anche in appello.

Ma la Cassazione ha accolto la sua istanza e ha ribaltato la sentenza, spiegando che occorre «rispettare non solo il corpo, ma la persona in interezza», e che quella di Laura è «obiezione di coscienza non mera autodeterminazione sanitaria». La donna vede riconosciuto il diritto ad esercitare la propria libertà di religione e autodeterminazione.

Questo caso, afferma l’avvocato, è significativo perché mostra «l'eventuale conflitto tra diritti: l'autodeterminazione del paziente, il suo diritto alla salute, l'operatore sanitario e il dissenso religioso». «Elena, testimone di Geova, deve partorire con un cesareo programmato», spiega l’avvocato Mattei, «e voglio dire che i testimoni di Geova non prendono a cuor leggero il diniego alle trasfusioni che per loro è basato su un principio biblico».

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