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Per l’ex capo della Polizia Gabrielli, la linea dura di Meloni sull’immigrazione non porta risultati

Mentre continuano gli sbarchi sull’isola di Lampedusa e la GeoBarents è arrivata Bari con 190 migranti a bordo, la Guardia costiera ha fermato la nave Louise Michel, finanziata dall’artista Banksy. Secondo le autorità, l’imbarcazione avrebbe violato il codice di condotta delle Ong: dopo aver effettuato il primo intervento di soccorso in acque libiche, avrebbe ignorato la disposizione di raggiungere il porto di Trapani, puntando invece verso altri tre barconi sui quali si stavano già dirigendo i mezzi della Guardia costiera.

Ma a criticare la linea dura del governo sull’immigrazione ora è anche Franco Gabrielli, prefetto, ex sottosegretario del governo Draghi con delega ai servizi segreti e già capo della Polizia. Che in un colloquio con La Stampa dice: «Ultimamente c’è stato un irrigidimento dell’approccio securitario sull’immigrazione, anche con il decreto sulle Ong, mentre secondo me questo criterio non aiuta. Inutile prendersela con gli scafisti, che sono gli sfigati della filiera, mentre i veri criminali sono i trafficanti che fanno commercio di esseri umani».

«Sono il meno indicato a fare la difesa del governo Meloni», dice il Prefetto Gabrielli. «A differenza del ministro Piantedosi, io sono stato un questurino a denominazione d’origine controllata e non mi sarei espresso come lui sulla strage di Cutro, se non altro perché su quel barcone c’era gente proveniente pure dall’Afghanistan. Persone che abbiamo abbandonato ad Herat, quando con la coalizione abbiamo lasciato il Paese. Al di là di certe improvvide affermazioni, però non penso che il governo abbia cercato una strage. Il problema è che si è spostato l’approccio dell’immigrazione da una gestione di ricerca e salvataggio in mare a una securitaria, come dimostra l’invio della Guardia di finanza e non della Guardia costiera. Va detto anche che spesso dalla rotta turca arrivano barconi sulla costa calabrese, dunque non si trattava di una novità. Su questo approccio vedremo a cosa porterà l’indagine della magistratura, ma il problema viene da lontano».

Quella che lamenta Gabrielli è l’assenza nel nostro Paese di un «pensiero lungo». Le misure, spiega, «sono sempre provvedimenti spot e qualsiasi sia il giudizio sui singoli provvedimenti è difficile che producano gli effetti sperati. Se la finalità è frenare il fenomeno immigrazione, non ci vuole la palla di vetro per capire che al di là del mare ci sia un continente disperato. In Africa vivono 1,2 miliardi di persone, che secondo l’Onu arriveranno a 2 nel 2050. E noi per loro siamo i ricchi e l’unica speranza. Un continente che non aspetta e non ha i nostri tempi».

Che fare allora? Accogliere tutti «creerebbe ulteriori tensioni in Europa», chiarisce Gabrielli. «I fenomeni vanno governati con un percorso che implichi il coinvolgimento dell’Ue, ma anche la nostra responsabilità di Stati membri. Quando spiegai al premier Draghi che dubitavo avessimo gli strumenti adeguati per affrontare la situazione in Tunisia o in Libia, Stati falliti, lui comprese che non sarebbero bastati interventi spot e l’utilità di un’operazione europea, poi però il governo finì».

Gabrielli si dice «avvilito» di rivedere sempre gli stessi errori: «I ministri che fanno viaggi della speranza, i Paesi africani a cui si chiede di frenare il fenomeno migratorio, i proclami come “Aiutiamoli a casa loro”, ma poi bisogna farlo. In questi anni siamo passati dal buonismo al cattivismo senza una vera programmazione di politiche durature».

Il prefetto ci tiene anche a salvare l’Europa, «anche se ce ne sono due: quella dei Paesi fondatori e quella degli altri. Quando sento parlare di invasione poi guardo i dati e mi chiedo cosa dovrebbero dire in Germania dove hanno ospitato un milione di siriani. Certo il trattato di Dublino va rivisto, perché penalizza l’Italia come Paese di primo approdo, e sulla stabilizzazione del Nord Africa si potrebbe fare molto di più a livello europeo».

A proposito di Europa, Repubblica scrive che a Bruxelles si starebbe valutando una nuova missione Sophia, che coinvolga Ue, Unione africana e Onu. Quella che cinque anni fa fu affondata dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini.