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Rabbit Hole è il ritorno di Kiefer Sutherland che stavate aspettando

Kiefer Sutherland è di nuovo tra noi per la gioia di tutti, con Rabbit Hole, serie che gli permette di riabbracciare quel mondo di spie, che gli diede la notorietà su scala mondiale. Sono passati tanti anni da 24, che secondo molti ha cambiato la concezione stessa di narrativa sul piccolo schermo. Ora su Paramount+, creata dal duo John Requa e Glenn Ficarra, arriva questa nuova avventura, che promette di essere un prodotto di quelli belli robusti, intriganti, per un genere che ha bisogno di aria fresca. 

Rabbit Hole: la trama

Rabbit Hole segue John (Kiefer Sutherland), cinquantenne dall'area scaltra e vissuta, che si occupa di spionaggio aziendale e nel suo campo, grazie anche alla sua squadra super specializzata, è considerato uno dei migliori del mondo. Naturalmente tutto questo ha un costo, in particolare il modo meccanico e sospettoso che John ha di guardare alla vita e al mondo, visto che si muove in un ambiente in cui fiducia e amicizia sono sempre sul mercato. Al termine dell'ennesima missione però, nel giro di pochissime ore si trova su tutti i giornali e notiziari, con l'assurda accusa di omicidio di un funzionario del Dipartimento del Tesoro. Il suo team rimane vittima di un attentato e lui è costretto alla fuga, così come a cercare di vederci chiaro, di comprendere chi sta cercando di distruggergli la vita. Forse una parte di verità gli può arrivare dall'avvocatessa Hailey Winton (Meta Golding) con cui ho avuto un flirt durato una notte, al termine del quale era sicuro di avere avuto a che fare con una spia della concorrenza. Tra inseguimenti e depistaggi, dovrà guardarsi le spalle sia delle forze di polizia che indagano su di lui con l'agente Madi (Enid Graham), sia da questo nuovo misterioso nemico. John però ha anche un tragico passato, un’infanzia traumatica e dolorosa con cui fare i conti, che l'ha reso l'uomo instancabile, indipendente e dalle mille risorse che è oggi. Ma basterà tutto questo per salvarlo?

La nuova creazione di John Requa e Glenn Ficarra

Rabbit Hole porta la firma di John Requa e Glenn Ficarra, un duo di registi e sceneggiatori tra i più interessanti ma anche altalenanti del panorama. Assieme hanno firmato Crazy, Stupid Love, This is Us, Whiskey Tango Foxtrot che funzionavano benissimo, Jungle Cruise e Focus che invece erano poca cosa.  
I due hanno uno stile aggressivo, che ha permesso recentemente a WeCrashed di diventare una serie tra le più riuscite della scorsa stagione. In Rabbit Hole la loro mano è evidente fin dall'inizio in modo preponderante, con la capacità di descrivere i personaggi in modo sintetico ma efficace, con un ritmo in perenne accelerazione, una struttura narrativa atipica, con molti flashback, con l'azione che domina su dialoghi eccessivamente prolissi. Mostrare piuttosto che spiegare pare essere la parola d'ordine anche in Rabbit Hole, che si affida completamente ad un Kiefer Sutherland che, anche se passano gli anni, per certi ruoli rimane uno dei migliori che si possono avere su piazza. Questa serie riprende il tema de “il fuggitivo”, in generale di tutta quella narrativa che da decenni ci parla di uomini costretti con le loro solo forze e soprattutto il proprio ingegno, a far fronte ad una nemesi invisibile ma letale, ad un “sistema”. 
Qui non è ancora chiaro chi vi sia dietro, ma sappiamo che deve essere dannatamente potente e letale, e come visto in Luther ultimamente, fa affidamento sulla tecnologia per celarsi nell'oscurità, per controllare vita e anche morte di chi ha la sfortuna di finire nel suo mirino. Di azione se ne vede in realtà per ora poca, ma quella poca ci parla di una ricerca di una verosimiglianza che allontana il tutto dall'eccesso di spettacolarizzazione e soprattutto da un protagonista invincibile.

Un uomo in fuga in lotta contro la tecnocrazia

Il John di Sutherland in effetti è molto distante da essere un Jason Bourne, un Bob Lee Swagger o uno dei tanti ammazza-cristiani vendicatori che il genere ha provato ultimamente a donarci, basti pensare a The Terminal List. Le sue grandi doti sono la capacità di improvvisare, di leggere una situazione, di ottenere informazioni e soprattutto di decifrare gli altri. Sutherland avrà anche solo due espressioni, ma le usa molto bene, perché riesce a dare una grande sensazione di vulnerabilità e paura al suo personaggio, e di riflesso anche a noi, perché in pochi minuti vediamo tutta la sua esistenza crollare, lui finire come in una sorta di gigantesca ragnatela da cui non pare esserci uscita. Rabbit Hole lo vede chiaramente connesso al tema del singolo che deve cercare di sopravvivere alla tecnocrazia, in generale al mondo in cui viviamo oggi, dove basta un click per farti diventare buono oppure cattivo. Questi primi due episodi però bastano e avanzano per accendere il giusto interesse, anche perché il genere, che qui per fortuna non è ammantato della solita ironia spicciola, soffre di un eccesso di offerta a cui però al momento (vedasi Ghosted Citadel) non fa da contraltare una qualità soddisfacente. Questa è firmata da Paramount+, che sarà anche arrivata da poco, ma per ora si sta muovendo benissimo. Contando un cast di contorno che annovera Charles Dance, il fu Robocop Peter Weller, non ci resta che continuare a seguire l'ex agente Bauer e vedere come va a finire.

Voto: 7

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