Oggi il Consiglio dei ministri con il bonus benzina e il bonus energia per commercianti. Giovedì la Nota di aggiornamento al Def. Si potranno leggere i primi veri numeri della prossima legge di bilancio. Sull’immigrazione arriva il ramoscello d’olivo di Macron. Meloni: “Adesso ci siamo”
Meloni e Giorgetti (Ansa)
La politica italiana mette in pausa per qualche ora la campagna elettorale. In onore e per rispetto alla lunga cerimonia di addio al presidente emerito Giorgio Napolitano. Sospese per qualche ora le consuete sfide, in serata arriva inaspettato il messaggio del presidente francese Emmanuel Macron sul dossier immigrazione - “ha ragione il Papa, non possiamo lasciare sola l’Italia” - che sembra offrire una tregua costruttiva anche agli egoismi nazionali che hanno tenuto banco nell’ultima settimana. Giorgia Meloni - che l’altra sera intervistata dal Tg1 aveva ammesso l’inefficiacia delle misure finora adottate (“non è andata come previsto ma troveremo la soluzione”) - prende al volo il ramoscello d’ulivo che arriva da Parigi e se lo tiene stretto. Da soli non ce la facciamo, avanti uniti contro gli scafisti e per una gestione dei flussi.
Ma per palazzo Chigi si apre la settimana dei conti pubblici, della manovra e della sessione di bilancio. Con una sfida ancora più difficile di quella dell’immigrazione: dare sostegno alle famiglie messe in ginocchio dall’inflazione, sostenere l’economia e la crescita, dare risposte credibili alla promesse che resteranno inevase con l’inevitabile danno al consenso.
Oggi il bonus benzina
Oggi (ore 16) il Consiglio dei ministri deve varare il decreto per il bonus benzina visto che il decreto trasparenza (un altro flop del governo) non è riuscito in questi mesi ad abbassare il prezzo del carburante alla pompa. Le misure di oggi sono finalizzate a dare continuità al supporto energetico per le famiglie con redditi bassi (ancora una volta il quadro geopolitico non riesce ad riportare i prezzi agli standard pre guerra). Inoltre utilizzando lo strumento della carta-spesa “Per te”, saranno addebitate anche 80 euro per la benzina ma solo per famiglie il cui reddito è “coperto” dalla carta. Un modo per fare prima e su un canale che al momento si è dimostrato sicuro. Sempre in materia di energia e bollette, dovrebbe arrivare anche una sanatoria rivolta a commercianti e autonomi.
Alle 18 è prevista la Cabina di regia sul Pnrr perché più il tempo passa e i conti non tornano, e più l’esecutivo capisce di fare di tutto per evitare di fallire sulle risorse del Piano. Giovedì poi nuovo consiglio dei ministri e approvazione della Nota di aggiornamento al Def anche la successiva votazione in ciascuna camera con maggioranza assoluta. Entro il 10 di ottobre poi palazzo Chigi dovrà approvare e poi inviare a Bruxelles la legge di bilancio. La prima “vera” del governo Meloni e che sarà però lacrime e sangue. Ben diversa da quella che l’elettorato di destra e non solo (quello che un anno fa votò Meloni) si sarebbe aspettato.
Le variabili
Da questa settimana quindi si fa sul serio. Con una serie di variabili tuttora non prevedibili. Quale sarà, ad esempio, la spesa reale legata al Superbonus, visto che nel ’20 e nel ’21 i bonus sono costati 90 miliardi di euro e per il’23 si potrebbe arrivare a 50 miliardi. Un’altra variabile è legata alle nuove regole del Patto di Stabilità europeo. Come cambieranno? In meglio o in peggio per l’Italia? Il ministro Giorgetti ha chiesto di tenere fuori dal debito le spese per la Difesa (ieri il ministro Crosetto ha detto che “non è possibile arrivare, date le condizioni, al 2% del pil di spesa militare a meno che quella voce non esca dal debito”) e quelle per la Transizione green e digitale. Infine: il quadro economico è in peggioramento. Ma di quanto? Il Mef può avere giusto un paio di riferimenti fissi: il deficit del 2024 sarà poco sopra il 4, la crescita a + 1 e quindi un margine di manovra di circa 25 miliardi. Sappiamo anche che il governo vuole confermare il taglio del cuneo fino a 35 mila euro di reddito per un guadagno di circa 117 euro netti al mese per circa 6-7 milioni di lavoratori.
Sarebbe una buona cifra se non fosse che l’inflazione di quest’anno si è già mangiata tutto. La maggioranza sta discutendo sulle pensioni (Salvini), altri sgravi alle famiglie e detassazione delle tredicesime. Il rigore e la cautela di Giorgetti (e Giorgetti) si scontrano quasi ogni giorno con il vizio mai curato di Matteo Salvini di fare promesse irrealizzabili, Vizio che si acuisce in periodo di campagna elettorale. Quindi se Giorgetti (e Meloni che per ora conferma la linea del rigore) hanno in mente di fare una manovra da 25-30 miliardi (e di cui ne sono disponibili meno della metà), il leader della Lega non sembra disponibile a rinunciare ai due miliardi per far partire il Ponte sullo Stretto e meno che a quei almeno 5-6 miliardi necessari per far partire la legge sulle Autonomie. Quello delle risorse è il problema in questo momento: solo quando le due principali variabili (le nuove norme del Patto di Stabilità europeo e le stime finali del Superbonus) daranno risultati attendibili, sarà possibile sapere quanto è in cassa e quanto serve trovare. Servirà ancora un paio di mesi. Fino ad allora la maggioranza è destinata a ballare.
Sulla tassazione agli ex profitti delle banche la premier ha dovuto accettare un dietro front previsto ed imbarazzante per quanto ben nascosto da linguaggi tecnici e involuti. A forza di emendamenti, tutti targati Forza Italia, anzi Marina Berlusconi, e Alberto Patuelli presidente Abi, le banche non potranno scaricare la tassa sui costi per i clienti potranno però decidere di irrobustire il proprio capitale (per un importo pari a a,5 volte la tassa) anziché versare la tassa allo Stato. La tassa inoltre dovrà avere “un importo pari al 40% dell’ammontare del margine di interesse maturato nel 2023 che ecceda del 10% quello del 2021”. Insomma, per farla breve, il gettito della tassa sarà minimo, ben lontano da quei 4-5 miliardi per cui era stato pensato. Salvini, visto che aveva fatto sua la tassa alle banche modello Robin Hood, ha deciso di rilanciare subito con i condoni edilizi “per piccole irregolarità. Così facciamo cassa”. Le opposizioni subito all’attacco. Insomma, sarà difficile far quadrare i conti . E non per “merito” delle opposizioni.
Giovedì la Nadef
Il documento che darà la cornice finanziaria alla manovra sta prendendo forma, ma i suoi confini sono blindati dai timori che gravano sui conti pubblici: l'economia sta rallentando, e con il Pil in frenata i margini di spesa si assottigliano. Si lavora quindi per fissare l'asticella del deficit 2024 il più possibile attorno al 4%, in modo da liberare risorse ma senza mettere a rischio il bilancio nell'anno in cui torneranno i vincoli europei sulla spesa pubblica. La Nota di aggiornamento diventa, come dicono fonti tecniche del Mef, “un esercizio aggravato da una forte incertezza”. Prima di tutto sulle prospettive di crescita, che negli ultimi mesi danno segnali di forte rallentamento.
Sul Pil del secondo trimestre è piombato il segno meno (-0,4%), e la Commissione europea i primi di settembre ha tagliato le stime per quest'anno (+0,9%) e per il prossimo (+0,8%). Appare sempre più difficile centrare nel 2023 quell'1% fissato nel Def ad aprile, e praticamente impossibile raggiungere l'1,5% che il governo vedeva nel 2024. Molto probabilmente l'anno prossimo non si riuscirà a salire oltre l'1%, considerato che anche la Bce ha rivisto le stime per l'Eurozona che sta ampliando il rallentamento. Anche se non c'è un vero timore per una recessione, come quella che sta attraversando la Germania, la crescita ridotta rende ancora più difficile la caccia alle risorse della manovra.
I margini su cui il governo lavora per il 2024 sono strettissimi. Il deficit indicato nel Def per l'anno prossimo (al 3,5% il tendenziale e al 3,7% il programmatico) dovrebbe essere ritoccato al rialzo, ma il 4% rappresenterebbe una vera e propria linea rossa invalicabile.
Caccia alle risorse
Le risorse in deficit su cui il governo starebbe ragionando (aumentandolo al massimo di 0,2 o 0,3 punti, ovvero 4-6 miliardi di euro) non saranno quindi nemmeno sufficienti a confermare il taglio del cuneo fiscale che vale 10 miliardi. Che diventano 14 se si aggiunge anche la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre. Ne servono, come detto, circa 25. La tassa sugli extraprofitti delle banche darà un gettito non superiore ai tre miliardi (vedremo ocme sarà contabilizzata se gli istituti decideranno di versarla al proprio patrimonio). Non si esclude anche una nuova tassa sui giochi. L’ipotesi del mini-condono di Salvini è andata di traverso all’alleato Tajani. Va segnalata anche la dinamica del duello Lega-Forza Italia che non ci sta davvero a finire come buona ultima della maggioranza. E dovrà dimostrare, col voto europeo, di saper esistere oltre Silvio Berlusconi.