Anche chi non crede in dio merita di essere tutelato. E le associazioni che rappresentano i non credenti hanno il diritto di promuovere i propri valori esattamente come fanno le confessioni religiose. Queste, in sostanza, le argomentazioni della Corte d'Appello di Roma, che ha condannato a un risarcimento di 50mila euro il Comune di Verona, che nel 2013 aveva rifiutato l'affissione dei manifesti dell'Uaar, l'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.
La censura
Dieci anni fa l'organizzazione aveva promosso la campagna pubblicitaria "Viviamo bene senza D": una grande immagine con la scritta "Dio", la cui iniziale era sbarrata da una X. I manifesti vennero affissi nelle principali città italiane, da nord a sud, ma al Comune di Verona l'iniziativa non piacque affatto. Per questo l'Uaar fu querelata. Il messaggio pubblicitario venne censurato dall'allora giunta leghista di Flavio Tosi come "offensivo e potenzialmente lesivo di qualsivoglia religione".
La causa e la sentenza
Dopo un lunga causa, che che per quasi un decennio ha opposto l'associazione e il Comune scaligero, la seconda sezione della Corte d'Appello di Roma ha definitivamente condannato la città veneta a pagare 50 mila euro all'Uaar, oltre al pagamento delle spese di giudizio e all'immediata affissione dei manifesti censurati dieci anni fa. Secondo i giudici, l'ateismo merita "la tutela di cui all’articolo 19 della Costituzione accordata alla “libertà di coscienza”, in questo caso riferita alla “professione di un credo religioso negativo” (…) e alla prospettazione in senso positivo dell’esistenza senza Dio. Il messaggio contenuto nel manifesto merita altresì la tutela di cui all’articolo 21 della Costituzione, riguardante la libertà di manifestazione del pensiero".
Il Comune ha discriminato
Discriminatoria quindi, secondo la corte d'Appello, la condotta del Comune, che nella sua censura ha leso il "diritto di coloro che si riconoscono in tali valori, di professare il credo ateo e/o agnostico razionalista, del quale l'Uaar è portatore e garante". "Esprimo viva soddisfazione per questa sentenza - ha detto Roberto Grendene, segretario Uaar - Sono state ribadite le nostre ragioni che denunciavano una conclamata discriminazione e una illiberale censura, tanto della libertà di espressione quanto della libertà di non credere. Censura poi ancor più grottesca a fronte dello spazio sempre invece concesso senza remora alcuna alla comunicazione religiosa anche negli spazi pubblici".